Partiti nelle università? No, grazie

No. Non serve la politica nelle università. O meglio, non servono i partiti. Già ho dei forti dubbi sull’utilità assoluta al giorno d’oggi dei partiti come li si intendevano 50 anni fa e come qualche nostalgico anacronista vuole intenderli ancora oggi. Per semplificare possiamo ancora parlare di partiti di destra, di sinistra e di centro, ma le distanze dal centro si accorciano sempre di più. O almeno così vorrebbe il buon senso. Questa dimensione orizzontale perde di giorno in giorno il suo valore. Ed è un bene. Perché non possiamo sperare di affrontare i problemi di oggi con gli strumenti di ieri.

Riconosco però che a livello nazionale il buon senso non basta. Non posso sperare che 60 milioni di italiani, imbevuti di televisione fino al collo, con giornali che parlano di questioni superflue e di battibecchi futili e superficiali e che dimenticano insieme ai nostri politici la programmazione a lungo termine prendano criticamente in analisi programmi elettorali. Gente che nei casi di virtuosismo nel mantenersi aggiornata di quello che succede nel mondo impara a memoria annali di formazioni di squadre calcistiche.

La politica basata sui partiti permette di legittimare la scelta di pochi informati e coinvolti con i voti dei molti, che spesso neanche sanno cosa fanno.

Ora, però, non parliamo più di una nazione, ma di un’università. Un ambiente con poche migliaia di studenti. Servono i partiti?
Senz’altro servono persone che hanno a cuore il miglioramento dell’ambiente in cui stanno. Che rappresentino gli studenti, che li abbiano eletti o meno, nelle questioni più importanti. Che comunichino in due direzioni: dalla gente alle istituzioni, dalle istituzioni alla gente. E perché mi soffermo sulle università? Perché i rappresentanti, studenti come tutti, nel giro di qualche anno, appassionati o meno al loro ruolo semi-politico, se ne vanno. Se sono nella posizione di rappresentante non lo fanno certo per il potere, i benefit e per tenersi una poltrona comoda e calda. Lo fanno perché è nella loro indole impegnarsi a nome di tutti.

Non servono partiti per fare ciò. Non servono ideologie archeologiche per i problemi di un’università. Serve buon senso e pragmaticità. L’idealismo serve solo perché quella dozzina di studenti candidati decidano di perdere del tempo non solo per il bene proprio, ma di tutta la categoria che rappresentano.

Io sono contento che a Bolzano i rappresentanti studenteschi siano apolitici. Lo vedo come un passo verso l’apertura mentale.

E nelle università dove i colori politici svettano con orgoglio dalle mani di studenti incravattati e ammuffiti? Beh, mi spiace per loro. Mi spiace per quegli studenti che sono manipolati da una classe politica che proprio in questi tempi nel nostro Paese sta facendo una figura sempre più meschina su tutti gli schieramenti e su ogni fronte.

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