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Taizé 08

Domenica sera sono rientrato da Taizé ma non ho scritto ancora niente (mica come chi si dà da fare) perché avevo un po’ troppe cose da recuperare prima di potermi mettere a produrre un post. Ora che mi sono liberato dagli impegni più pressanti è venuto il momento di mettere giù due righe su quello che è successo settimana scorsa, ma da dove cominciare? Facciamo che parto proprio dall’inizio inizio e poi vedo un po’ come sviluppare la cosa…

Quest’anno eravamo in 17 a partire da Desenzano. Per le iscrizioni ci avevo già pensato più di un mese prima, escluso per i due che si sono aggiunti più tardi. Ai biglietti del treno non ci ho pensato io. Ha fatto tutto il Cesare al quale vanno dunque i miei ringraziamenti e penso anche quelli degli altri. Nonostante questo lì a Taizé i frati e quelli dell’organizzazione hanno tendenzialmente fatto riferimento a me. Per fortuna però Anna e Micaela sono andate al posto mio al primo incontro con gli altri capi gruppo che me n’ero completamente scordato.

Quest’anno per la prima volta ho anche fatto da contact person, che significa che guidavo un piccolo gruppo di riflessione relativo all’Apocalisse, l’argomento scelto per la settimana. Appena si arriva a Taizé chi ha più di 17 deve scegliere tra due argomenti e la settimana di silenzio. Io ho appunto scelto l’Apocalisse e poi, già che c’ero, ho fatto da traduttore per alcuni italiani dall’inglese e da guida in questo gruppetto di dieci persone in cui abbiamo discusso sul brano biblico presentato da un frate prima. Nel dettaglio abbiamo parlato dei primi tre capitoli del libro della Rivelazione.

Come lavoro (già, perché mica si tratta di una vacanza) ho scelto di fare l’accoglienza alla Casa (così si chiama “l’ufficio” da cui passano quelli che sono appena arrivati a Taizé). Mi sono scelto il turno della mattina che andava dalla colazione alla preghiera di mezzogiorno, e dunque dalle 9.30 alle 12.20. Il primo giorno ci hanno spiegato cosa dire ai nuovi arrivati e i fogli da seguire, ma naturalmente a me nei primi giorni hanno solo dirottato casi non contemplati dalla guida. Almeno si tratta per lo più di italiani, visto che ero l’unico italiano nel gruppo. Il lavoro maggiore comunque l’hanno fatto quelli che parlavano francese, perché mi sono accorto che durante la settimana vengono più persone dai dintorni. La permanenza standard sarebbe da domenica a domenica, come abbiamo fatto noi.

Un po’ per il lavoro che ho scelto, un po’ per il gruppo grandicello, credo, non ho socializzato quanto gli anni scorsi, ma non fa niente, visto che la sera stessa del giorno in cui sono rincasato ho trovato una richiesta di amicizia su Facebook di un ragazzo olandese che avevo conosciuto l’anno scorso.

Poi mi sono informato per l’incontro che sarà a Nairobi in Kenya questo autunno. Sarei quasi intenzionato ad andarci per vari motivi che non spiegherò ora. I giorni dell’incontro sarebbero dal 26 al 30 novembre, ma è possibile presentarsi là anche un settimana abbondante prima per farsi ospitare da una famiglia locale per una decina di giorni prima dell’incontro e capire un po’ meglio come vive e ragiona la gente là. Ma prima devo un po’ vedere come sono messo con i vari impegni parrocchiali, sportivi e, non ultimi, universitari (mi riferisco alle associazioni studentesche, mica allo studio!).

Per il momento chiudo qua e aspetto domande nel caso ce ne fossero. Gli aneddoti arriveranno con le foto fra qualche giorno, senza troppa fretta che mi resta una settimana per preparare due/tre esami.

Nella foto il laghetto del parco di Taizé.

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PIETRA & CO. Incontro con la scultura di pietra

Per tutto il periodo estivo Sirmione sarà l’affascinante scenario di un’esposizione, ideata dal Consorzio Marmisti Bresciani e curata da Lillo Marciano, interamente dedicata alla scultura. Un’idea maturata dal sogno di valorizzare il mondo della pietra bresciana, che da tremila anni è un’opera d’arte a nostra disposizione: un patrimonio artistico e culturale anche per un futuro […]

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22a TRANS BENACO CRUISE DEL LAGO DI GARDA Sulla rotta Portese-Riva-Portese

Tutto pronto sul Garda per la 22° Trans Benaco Cruise Race. La long distance che prenderà il via sabato prossimo sulla rotta Portese-Riva con ritorno nella giornata successiva. La partenza della prima tappa è prevista per le ore 10 del 2 agosto dal porticciolo di Garda Blu. Da qui le vele delle classi Crociere e […]

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Ma sarà poi così morale, la questione?

“è come mettere Dracula presidente dell’Avis” (anonimo)

Se la chiamassimo “questione legale?” oppure “questione non si ruba”? quel morale là suona un po’ da anziano nonnino rintronato che bacchetta i suoi nipoti se tornano tardi, e a me fa tornare in mente più che altro condotte assolutamente personali che credo dovrebbero, quelle si, interessare poco agli elettori (preferenze e pratiche sessuali, assunzione di droghe legali, alcolismo fuori servizio ecc…). Con “questione morale” s’intende, solitamente, il pretendere che chi fa il politico sia più “pulito” dei propri elettori, e questo per una questione di principio: a governare devono essere i migliori tra di noi. Suona un po’ platonico, non trovate? Ecco, io invece preferisco Aristotele (e mi rendo conto di far parte di una fazione in questo, ma tantè, credo sia la fazione giusta).

Ve li ricordate Platone e Aristotele? per chi di voi abbia visto la celebre “Scuola di Atene” di Raffaello sono i due personaggi centrali, che non a caso occupano una posizione da protagonisti nell’affresco: da loro in avanti buona parte della storia culturale dell’occidente può essere iscritta senza troppi sforzi (anche se, ovviamente, si fa per semplificare) in una dialettica tra aristotelici e platonici. Prima che qualche collega mi accusi di uccidere la Filosofia (vedo già le vostre dita fremere) preciso che sto solo parlando di una questione di metodo, della maniera in cui si organizza la propria ricerca a prescindere dagli esiti (in quel caso dividere la storia del pensiero occidentale in queste due fazioni si rivela un po’ più pretenzioso). Ma torniamo ai nostri due capoccioni, cosa li rende così speciali? Dopotutto la storia della filosofia greca si articola quasi sempre in rivalità tra personaggi e scuole (cinici/cirenaici, Socrate/Gorgia, stoici/epicurei ecc…) eppure è la loro dicotomia a farsi sentire anche negli autori di epoche successive (e difatti saranno loro i due grandi Maestri del Medioevo).

Partiamo dal quadro e dall’osservazione più classica che viene fatta: quello a sinistra, Platone, indica il cielo mentre quello a destra, Aristotele, fa cenno di rimanere per terra. Ciò che poi si capisce leggendo questi due autori non è che uno si interessi delle cose celesti e l’altro delle cose terrene, ma che interessandosi entrambi delle stesse materie si dotano di strumenti diversi per risolvere i problemi che trovano sulla strada: l’uno (Platone) parte da concetti puri che poi applica al reale, deducendo il mondo migliore che l’uomo può realizzare partendo dai concetti puri migliori che riesce a trovare, l’altro (Aristotele) cataloga il reale per trovarne le regole già esistenti e una volta compresone il funzionamento cerca di delimitare lo spazio di azione umano migliore possibile. Per questo nella riflessione politica, in parole povere, Platone ne fa una questione di principio, e quindi nella sua Repubblica devono governare i migliori e i più saggi perchè sono i più adatti, mentre Aristotele si prende la briga di analizzare le forme di governo già esistenti e di comprenderne il funzionamento e le ragioni, oltre che la possibile deriva.

Torniamo alla “questione morale” e al perchè non mi piace questo nome (e i nomi sono importanti, perchè in una certa misura determinano il significato). Se la questione è: “perchè ci dovrebbe interessare la caratura morale dei nostri politici?” non so davvero cosa rispondere, e questo perchè la parola “morale” evoca in me temi che riguardano tutto tranne l’amministrazione pubblica. Semmai proprio il contrario, dato che morale è un termine che rimanda decisamente alla sfera privata. E della sfera privata degli altri, a me, cosa dovrebbe importare? niente, appunto, a me degli altri (affetti esclusi, s’intende) interessa solo la sfera pubblica (altrimenti si scade nel gossip, che è precisamente l’interessarsi della sfera pubblica altrui). Ragionando da aristotelico non riesco a vedere la questione di principio che ad alcuni sembra un macigno insormontabile, perchè sto ragionando su come si governa un Paese, e nei politici vedo solo dei funzionari, non delle persone. Facendo un salto ulteriore mi renderei conto che ciò che è essenziale è che chi comanda non sia una persona che userà il potere cedutogli dagli elettori (ebbene si, democrazia è anche cedere un bel po’ del nostro potere decisionale a dei rappresentanti) per compiere dei reati o coprire quelli che ha commesso (e assicurarsi l’impunità): non perchè sarebbe scorretto in linea di principio, bensì perchè ogni reato prevede una vittima, e decidendo che alcune vittime non possano essere tutelate io sto trasformando la democrazia in qualcosa d’altro. Oltre a ciò permetterei che alcune persone fossero avvantaggiate nella propria personale vicenda umana, potendo compiere reati preclusi alle altre persone, il che risulta ancora più incompatibile con la democrazia. Questo non vuol dire che non possa essere necessario talvolta assicurare a qualcuno un’impunità, ma sicuramente può esserlo solo in vista di un bene comune (e non del conto in banca di qualcuno).

Per questo io cambierei quel termine, perchè ciò che è imprescindibile è l’immacolatezza della sfera pubblica di chi mi rappresenta in politica, ovvero l’onestà non tanto per una questione di immagine (che potrebbe anche essere vista come parte della sfera privata, in alcuni casi) ma per evitare che acceda alle leve del potere chi è interessato a sfruttarle per i propri fraudolenti interessi personali. Non devo provare gratificazione nel sapere “pulito” chi mi rappresenta, devo invece sentirmi rassicurato da una cosa del genere, perchè non posso pretendere che il voto della maggioranza degli italiani trasformi chiunque in un disinteressato fautore del bene pubblico, nè che alle cariche politiche aspirino solo onesti idealisti intenzionati a salvare la Patria.

Facciamo “questione etica”?.

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Figli di un doh! minore

Questo post è incredibilmente lungo…ma coraggio, ce la potete fare!

Chi ha visto gli anni ’90 e i 2000 non può aver fatto a meno di notare il fenomeno dei cartoni satirici americani, i “figli dei Simpson”, per capirci meglio. Io sono dell’84, quindi potrebbe essermi sfuggito qualcosa, ma non ricordo nessun cartone precedente che si proponesse come scopo non tanto raccontare storie quanto impegnarsi in una critica a più livelli della società contemporanea. Dite che fanno ridere? ma certo che fanno ridere, il ridicolo è uno degli espedienti più efficaci per far risaltare qualcosa, e i tre cartoni meglio riusciti di questo filone sono conosciuti soprattutto per come riescono a rappresentare il ridicolo; mi riferisco a “i Simpson”, “i Griffin” e “South Park”. Ora, credo che la diatriba su quale di questi cartoni sia il migliore risulti un po’ sterile (e forse, a suo modo, la preferenza per uno di questi tre è indicativa di qualcosa), tuttavia cogliere le differenze tra i tre è piuttosto facile. “I Simpson” è venuto per primo, e sconta più degli altri due la vicinanza alle vecchie tipologie di cartone animato (anche se è stato rivoluzionario), la satira è abbozzata ma mai troppo sviluppata (non si va molto al di là dei personaggi stereotipati) e il vero succo di ogni puntata è il suo svolgimento (battute, gag, dipanarsi dell’intreccio…); rimane in memoria più una frase tipica che la trama di una puntata. “I Griffin” si discosta molto dal suo “padre”, puntando sul surrealismo spinto; gli stessi personaggi non sono più quell’accenno di grottesco (velato troppo frequentemente di spessore umano) che erano nei Simpson, ma decisamente surreali. La satira, nei Griffin, è demandata a battute caustiche e all’immancabile utilizzo degli stereotipi, e nel cambio surreale per grottesco se va persa un po’ dell’efficacia critica si guadagna però in comicità, e “i Griffin” è probabilmente il più divertente dei tre.

E veniamo finalmente all’oggetto di questo post, ovvero South Park (come si sarà capito, il mio preferito dei tre cartoni animati). La prima cosa che si nota è l’assenza totale di freni inibitori da parte degli autori, sia nel linguaggio (che in Italia nelle prime serie è stato censurato con eufemismi vari, come “figlio di sultana” “fatevi un clistere” ecc…), che nei temi trattati e nella maniera in cui vengono trattati, trattati male s’intende. Non ce n’è per nessuno in South Park, è una gigantesca operazione di messa in ridicolo del mondo a partire da una serie di personaggi uno più grottesco dell’altro, e gli stessi stereotipi sono in realtà la trasfigurazione grottesca di loro stessi poichè vengono caricati oltre il consueto, ed esplodono a contatto con gli altri elementi della storia in deflagrazioni che gli altri due cartoni si sognano. Non c’è spazio di redenzione in questa serie, nessuno impara mai niente dai propri errori o da quelli altrui (la morale di fine puntata è farsesca, una presa in giro anche abbastanza esplicita), nè sembra mai esserci qualcosa da imparare dalle vicende degli abitanti di South Park. Ed è proprio eliminando questa idea della conclusione didattica di ogni storia (di cui i Simpson abusano spesso) che la serie si permette di giocare non tanto sullo svolgimento della trama, quanto sulla trama stessa. Solo in South Park si può irridere la Chiesa Cattolica rappresentando un prete che, preoccupato dalla pedofilia diffusa tra i pastori, arriva in Vaticano e scopre che in un antico codice vaticano la pedofilia è prescritta, una delle delegazioni cattoliche viene da un pianeta alieno e tutti in realtà adorano una grande regina ragno. Solo in South Park a un certo punto i neri della città (ovvero Will Smith e altre celebrità invitate a vivere lì dall’unico bambino nero, e ricco, della scuola) vengono “discriminati” in quanto ricchi e costretti a sedere sui posti in prima classe degli autobus (nel finale rocambolesco gli abitanti di South Park, per scacciarli, si vestiranno con dei costumi da fantasma identici alle divise del Ku Klux Klan). Solo in South Park il maestro Garrison può diventare (in più puntate) prima gay, poi donna, poi lesbica e infine di nuovo uomo. È la trama stessa, in South Park, a essere il nodo centrale della puntata, e lo svolgimento il pretesto per raccontarla.

Questo non vuol dire però che non ci siano state delle scene memorabili completamente slegate da necessità di trama, anzi, ma queste sono fruibili da un pubblico più ristretto rispetto agli altri due cartoni. Per questo forse è più adatto a un pubblico adulto, non tanto per la volgarità (non credo che possa davvero insegnare qualcosa che i ragazzi non sappiano già), ma perchè il linguaggio e l’umorismo sono di stampo decisamente satirico, complesso da apprezzare appieno. Questo significa rimandi costanti alla corporeità (uno dei personaggi più azzeccati in questo senso è Mr Hankey, la cacchina di natale, un’escremento che porta i doni a chi ha una dieta ricca di fibre), assoluta mancanza di rispetto, libertà totale nel deformare la realtà (memorabile la puntata in cui l’attore Christopher Reeve recupera l’uso del proprio corpo grazie alle cellule staminali, assimilate succhiando feti) e via dicendo. Ci vuole stomaco, a volte, e più spesso semplicemente capacità di prendere alla leggera le proprie credenze (è impossibile non essere uno dei bersagli del cartone, prima o poi tocca).

E veniamo ai personaggi. I quattro personaggi principali sono Stan, Kyle, Eric e Kenny, a loro si aggiungono via via altri ragazzi e da subito sono presenti tutti gli altri abitanti di South Park, alcuni dei quali rappresentanti di una categoria (il poliziotto gonzo, il sindaco arrivista, il ristoratore cinese tuttofare), altri maggiormente dotati di una propria individualità (come l’incredibile Chef, tombeur de femmes e grande cantante, una specie di padre spirituale dei ragazzini). Il mio preferito è Kenny, non tanto perchè muore ad ogni puntata (fino alla quinta serie) o perchè è il più sboccato di tutti (nella sigla iniziale, mentre gli altri cantano parole di benvenuto nella cittadina, ci delizia con un “A me piacciono le ragazze con la vagina grande e le tette grosse”), quanto per il suo inarrivabile cinismo. Kenny è un bambino di 8 anni che quando la madre di Kyle spiega ai ragazzi come funziona una sindrome piuttosto impressionante di cui soffre l’infermiera scolastica, ovvero l’avere un gemello siamese nato morto attaccato alla guancia sinistra, mentre tutti gli altri se ne vanno disgustati dalle immagini presenti sull’enciclopedia medica lui la indica e ride!. Kenny è un bambino povero, figlio di un alcolizzato e di una madre violenta, e muore ogni puntata (e ad ogni puntata è consapevole che deve morire, tanto che esulta alla fine dell’unica della prima serie dove questo non succede); e come reagisce? mettendo in ridicolo il mondo! per questo è un personaggio incredibile, ed è probabilmente l’elemento più potenzialmente distruttivo, più dissacrante del cartone.

Degli altri personaggi ci sarebbe da parlare per ore ma forse sto già scrivendo troppo, meglio stringere. Stan e Kyle sono i protagonisti, e in qualche maniera ne sono la deriva grottesca. Sono i due personaggi più intelligenti e logici, spesso servono a tradurre nella semplicità tipicamente fanciullesca le complesse istanze del mondo adulto, ma il più delle volte questo porta a una banalizzazione che è il rovescio della realtà, il suo lato comico (il comico è il tragico visto da lontano, spesso). Eric, la nemesi di Kyle e a ben guardare anche di Stan, è invece il cattivo per eccellenza messo da questa parte della barricata. Mosso unicamente dai propri interessi anche nello scegliere le amicizie, Eric è il prototipo del Grande Cattivo hollywoodiano, e tuttavia nel mondo di South Park è dalla nostra parte (e anzi, spesso ci troviamo a parteggiare per lui), il messaggio se ci pensate è abbastanza chiaro. C’è poi, come già detto, una lunghissima schiera di personaggi secondari, semiprincipali, comparse ricorrenti e comparsate una tantum che meriterebbero un trattato e non un solo post. Ma credo che per ora, se siete arrivati fino a qui, posso smetterla e lasciarvi guardare in pace qualche puntata.

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Arriva Umberto!

Aaaahh, ah ah ah ah.
Arriva Umberto – Eccomi qua! -,
il fratel Umberto – Aah ah -,
direttamente qui dal varietà.
Irresistibile, irrefrenabile – Oh oh oh -,
chissà che cosa ci racconterà – Mah?!? -.
Stasera qui con noi, a routa libera per farci divertire a più non posso.
Arriva Umberto – Eccomi! -,
con la sua orchestra – Eccoci!
per trasformar la sera in una feeeesta, in una festa, in una festa.
Ehi, ragazzi, sentite qua: Prrrrr -. Ah ah ah ah.
Irresistibile, irrefrenabile, tu sì della risata sei il campione.
Arriva Umberto – Sono qua -,
col suo furgone – brum brum
ripieno di allegria e di felicità, E ne ho in serbo altre fortissime!
Felicità, felicità, felicità

Ci pensa lui al dialogo, non vi preoccupate voialtri, orfani del Partito Democratico vecchia maniera. Più credibile della Carfagna alle pari opportunità (ma non quanto lo sarebbe Sbirulino all’istruzione, per fare un confronto), il ministro alle Riforme si propone come paciere tra Berlusconi e Veltroni nel nome di un federalismo fiscale che sarebbe ora di fare, a sentir lui. Non mi fa piacere dire “te l’avevo detto” (anche perchè mi hanno insegnato di non dare confidenza ai tipi loschi), ma l’avevo detto tempo fa che il federalismo se lo scordavano i leghisti, per il semplice motivo che l’Italia (e a questo giro nemmeno Berlusconi) non se lo può permettere. Per questo motivo si è insistito tanto sui temi forzatamente correlati di sicurezza e immigrazione: andavano costruiti obiettivi più urgenti e facilmente spacciabili per in via di risoluzione (il pugno di ferro tira e tirerà sempre, elettoralmente parlando).

Ora, era prevedibile che pure Bossi prima o poi si sarebbe accorto di essere preso per il culo, ma Umberto questa volta ha tutta l’aria di chiedere il bis. Anche perchè lo scivolone dell’altra settimana sui rifiuti campani che verranno accolti (oggi ad ogni modo smentisce) dalla Lombardia tradisce una certa familiarità col modo arcoriano di fare: grandi proclami e soluzioni grossolane ma roboanti sui temi più sensibili e sulle promesse elettorali più complicate da mantenere basso profilo e compromessi. Per i più attenti non c’è molto di nuovo sotto il sole, questa volta i leghisti stanno solo durando un po’ di più prima di scoppiare come fecero nel ’94, quando erano più giovani e incazzati. O forse dovevano semplicemente far ancora presa del tutto su un elettorato presso il quale, fino a pochi giorni fa, erano visibilmente convinti di non rischiare il minimo dissenso.

Per ora erano corsi ai ripari in maniera al solito un po’ caciarona ma efficace, ma la svolta dialogante di Bossi potrebbe rivelarsi un passo falso. Se arriveranno alla fine della legislatura senza il federalismo e con una posizione più ammorbidita nei confronti della sinistra si faranno cannibalizzare dai tanti piccoli gruppi regionali (vi ricordate il Progetto Nord Est?) sempre in agguato, fino a vedere decisamente ridimensionata la loro presenza in parlamento. Che , per inciso, sarebbe magnifico. La domanda chiave è quindi: ci sono o ci fanno? o un allegro mix delle due cose?

Probabilmente è la terza opzione, anche perchè sulle effettive intenzioni di questo partito bravo più che altro a cavalcare la tigre ho sempre mantenuto un sano ammontare dubbi.

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Mago Casanova è tornato a Desenzano?!?

E’ la terza cosa che mi sono chiesto l’altra sera passando davanti alla mitica casa dalla finestra murata.

Ho guardato e riguardato: dopo la finestra anche la ringhiera del balcone non si vede più!
Ma si vede benissimo che c’è il trucco e se si vede il trucco non può che essere un opera del Mago Casanova!
Col […]

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Fedeli alla linea (la linea qual è?)

Ma poi, c’è davvero bisogno di una linea? non dal punto di vista degli elettori (che gradirebbero, mi fanno sapere), ma da quello di chi deve effettivamente tenere assieme il vecchio Ulivo riverniciato. Oddio, sembro Cicchitto, facciamo che mi fermo, respiro e riprendo a capo.

Anzi no, vado avanti imperterrito e se mi riesce comincio pure una bella polemica (poi equilibrio con un post contro Cicchitto), in fondo non li ho votati proprio perchè volevano far fuori la componente “mancina”, e in parte è il tema di oggi. Per quale motivo la somma algebrica di Margherita e DS (più o meno l’opinione espressa oggi da Rutelli) deve dare per forza sinistra DC? voglio dire, c’è una spiegazione seria? non mi serve per forza uno scienziato, mi basterebbe una voce unificata che dal Loft scendesse tra noi comuni mortali e portasse il Verbo (meglio cominciare a utilizzare termini adeguati), se saranno perle ci sforzeremo di essere meno porci, promesso. E se non ce la faremo perderete qualche voto ora, ma alla lunga la chiarezza paga, perlomeno a sinistra.

Intendiamoci, anche a me piace sentirmi definire “progressista” e la “grande casa di tutti i partiti democratici mondiali” sembra davvero un posticino accogliente, ma prima o poi la differenza tra politica e letteratura va compresa. Se il PD si vuole spacciare per partito di sinistra deve stare nel Partito Socialista Europeo, non c’è molta alternativa, o quelli della Margherita non lo sanno di stare a sinistra? A un certo punto dovranno pur capirlo, e sennò che si staccassero e se ne andassero con Casini, tanto per prolungare ancora un poco la sua agonia. Seriamente, si potrebbe anche fare a meno di loro, e l’emorragia di voti la si recupererebbe in un paio d’anni (senza contare che un’alleanza per le elezioni la si può sempre fare e non cambierebbe molto da ora).

Ma non è tanto questo il motivo principale del mio rifiuto attuale per il PD (in futuro chissà, per ora mi sono iscritto alla Fondazione Daje su Facebook), quanto quell’insopportabile aria da primi della classe. Al grido di “noi siamo i buoni” si finisce per perdere, anche perchè non è solo snob ma soprattutto ingenuo: perchè non dovremmo avere con noi anche qualche “cattivo”? Perchè non possiamo avercela visceralmente con i capitalisti, i grandi ladri, i bigotti, i reazionari?. Dov’è finita l’energia che la classe operaia e i giovani trasmettevano al partito? (io sono dell’84, queste cose le ho più che altro lette in giro). Si capiva che il dialogo non lo si può assicurare sulla fiducia solo perchè “sarebbe bello”: ci sono tempi per il dialogo e tempi per la lotta, sbagliare questa valutazione significa condannarsi ad essere inefficaci, e il motivo per cui non ho votato Pd è che sapevo quale strada avrebbero imboccato, l’avevano addirittura annunciato. Ora, superati persino dalla Lega in quanto a capacità di fare opposizione, se ne accorgono anche loro proprio mentre riemergono antichi problemi che ne minano l’efficacia.

Senza contare la famosa “anima cattolica” del Pd, che come tutte le anime cattoliche il confronto tende a evitarlo il più possibile con pretese di comuni radici cristiane (cristiano a chi? vade retro) che dovrebbero far partire il supposto confronto da un punto molto vicino al loro. E il bello è che c’è ancora chi gli va dietro! voglio dire, dichiararsi anticattolici sarebbe una cazzata, ma spacciarsi per laici in certi casi è quasi un crimine. Ma dove intende andare il Pd con personaggi come Rutelli al seguito? ci sono anche personaggi maggiormente ragionevoli come la Bindi, io darei a loro le chiavi della cattolicità PD, se proprio non possiamo farla sparire (sempre tenendo conto che questo non significa diventare anticattolici). Sarebbe anche ora di schierarsi con forza su temi sgraditi alla Chiesa ma importanti per fare qualche altro passo verso una società migliore, o il PD vuole interpretare il lato (già coperto a destra) del cristianesimo più bigotto e appiattito sulle posizioni della Chiesa? un partito sinceramente progressista dovrebbe invece rivolgersi alla consistente parte di cristiani più o meno critici nei confronti del Papa (e non solo a loro, si spera).

Ma poi questi sono tutti discorsi che si scontrano con la realtà delle persone che lo dirigono, questo PD. Io ci provo anche a scrivere righe e righe su come cosa quando, meglio di me fanno tanti altri più bravi e più letti…ma poi uno pensa un attimo a chi sarebbe l’interlocutore e gli viene in mente D’Alema. Non so voi, ma a me pensare a D’Alema sfianca, mi sento come Sisifo, condannato a una pena tanto faticosa quanto inutile. I casi di Marta Meo e Scalfarotto, emersi questi giorni alla vigilia della fantomatica superassemblea, e le sporadiche rivelazioni sui minitramacci delle branche locali del PD che arrivano via Zoro sono solo l’ennesima conferma della situazione di cui D’Alema è il simbolo principe: una massa di personaggi più o meno competenti (soprattutto meno) che tiene saldamente le redini della nuova macchina da voti. Io non vedo da dentro la questione (non ditelo in giro, ma mi è venuta voglia di provare a infilarmi in qualche sezione bolognese), ma non capisco proprio come si possa uscire dal pantano. Ma sono pronto a dare una mano, giuro! dovete solo farmi capire come.

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Nicolò Marinaio

La nonna (ormai super tecnologica) mi manda questa foto e non esito a pubblicarla! Chissà se gli piacerà la vela come piace al suo babbo! La maglietta non poteva essere più azzeccata (”no one is like the skipper”).
La faccia da braccio di ferro, poi, è perfetta!

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