Il nuovo disco di Formentini «nel flusso del potere profondo del suono»

Musica alveolare, amniotica, astrale: si respira, si galleggia, si esplora. Accade con i suoni del chitarrista Luca Formentini, imprenditore chitarrista e compositore vignaiolo (al Podere Selva Capuzza, 250mila bottiglie, 40 ettari di viti, bosco, oliveti, tartufaie). È appena uscito «Réverie», il suo ultimo cd (Dark Companion Records), insieme al trombettista Markus Stockhausen, registrato nella sua tenuta di Desenzano, in un labirintico scantinato nascosto tra fusti preziosi e bottiglie pregiate. «Markus è un amico caro, una persona di grande sensibilità, ampiezza culturale e spirituale – racconta Formentini -. Con lui si lavora senza lavorare: la pura gioia del suonare assieme, felicità sempre più rara, anche fra artisti».

Niente a che vedere con le «follie» del padre Karlheinz?

«Markus mi trasmette pace. Abbiamo suonato in situazioni disparate: dai boschi alle montagne del nostro primo concerto (per i Suoni delle Dolomiti), dalle grandi chiese in Germania ai festival, con danzatori e performer visuali. Suoniamo liberamente, senza riferimenti, in modo intuitivo; una improvvisazione, che di fatto è una composizione in tempo reale. La stessa modalità che adottiamo quando dialoghiamo con qualcuno: facciamo domande o rispondiamo, e- sprimiamo il nostro pensiero, riflettiamo mentre ascoltiamo. Io e lui ci lasciamo portare dal flusso: incontriamo quello che non si sarebbe potuto prevedere e arriviamo dove non sarebbe stato possibile camminando da soli. Conosciamo l’altro e noi stessi».

Come funziona il vostro interplay?

«Può capitare che inizi io o lui; attacca chi si sente pronto; e chi comincia sta, in realtà, preparando la partenza dell’altro. Ci tuffiamo, con fiducia e curiosità. La tromba di Markus è stata registrata in acustico, l’ho processata durante la registrazione e ottimizzata nel mixaggio. Ho usato una chitarra elettrica “aumentata” con effettistica varia, più un campionatore da cui ho tratto accenni percussivi e un sintetizzatore analogico, ho agito in modo profondo già durante la registrazione».

Spazio, tempo, sogno? Dove si muove la sua musica?

«Cerco di richiamare l’attenzione verso il potere profondo del suono, del quale troppo spesso ci dimentichiamo, allontanandoci così da una preziosa parte di noi. Prima della musica c’è il suono. Possiede una dignità e un potenziale proprio, autosufficiente, un potenziale autentico e insostituibile: quello che permette una relazione intima e profonda. È un ponte attraverso il quale scorrono le emozioni, un veicolo capace di muoverle, un luogo in cui lasciare che si manifestino. L’ispirazione nasce dalla consapevolezza di questo processo arcaico: la connessione diretta tra l’esperienza sonora e il nostro sistema emotivo. Il suono è il primo segnale sensoriale che riceviamo dal mondo esterno, è registrato dal nostro cervello ancora prima che si sia formato completamente. Possiamo solo scegliere – spesso, ma non sempre – cosa sentire. E cosa ascoltare. Cerco di fare musica che ci porti dentro di noi».

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