Autore: Marco_Michelutto

del porcellum si butta via poco

In questi giorni si è parlato, e si parlerà sempre di più, del referendum elettorale che ci sarà a fine Giugno; al di là della polemica sull’accorpamento o meno delle date elettorali e del risparmio vero o sovrastimato che ne sarebbe derivato (polemica che non vale la pena di sviscerare ora che tutto è deciso, ma che i ogni caso io chiuderei sempicemente rimandando a questo pezzo), è il caso di cominciare per tempo a capire bene di cosa si tratta, e quale sia la posta in gioco. Partiamo dal chiarire un aspetto che dovrebbe di per sè dare un po’ la misura di questa vicenda, ovvero il fatto che lo stesso Berlusconi abbia ammesso pubblicamente che voterà per il “si”; è disorientante? dovrebbe, dato che i promotori sostengono che sia un referendum in qualche maniera “contro” il famoso porcellum e in direzione di una maggiore democraticità, o quantomeno l’idea che viene più o meno veicolata pubblicamente è quella di un referendum che vada in direzione contraria; evidentemente, dato che il presidente del consiglio non è impazzito (e anzi, ha ragione a dire che è praticamente un regalo che gli viene fatto), non è del tutto vero. Qui il testo e qui il commento dei propositori, ora vediamo qualcosa più in dettaglio.

I primi due quesiti, per cominciare, rendono autosufficienti i due partiti maggiori e fondamentalmente inutili tutte le altre formazioni politiche, poichè impediscono il formarsi di coalizioni e assegnano a un solo partito il numero di seggi necessario ad averne la maggioranza assoluta anche qualora non si abbia che quella relativa. L’idea di base, proposta nel 2007 all’epoca delle grandi e caotiche coalizioni che ricordiamo tutti, era di portare un po’ di ordine e semplificazione all’interno dell’arco parlamentare, azzerando l’enorme e sproporzionato potere che tante volte nella storia repubblicana è toccato a piccoli partiti. Vi ricorda qualcosa? esatto, tutto questo è già successo, e per via politica. Inoltre, le due coalizioni che si sono formate mantengono al loro interno una certa dialettica e dei rapporti di potere: la Lega ad esempio ha influito parecchio sull’azione del governo, così come l’Idv ha mantenuto un certo peso nel dettare l’agenda dell’opposizione. Andare in direzione bipartitica, perchè anche all’opposizione conterebbe (e attirerebbe a sè il voto) solo il partito maggiormente in grado di puntare alla maggioranza relativa, significherebbe consegnare le chiavi del dibattito politico a due sole formazioni. Focalizzate la vostra attenzione su questo scenario futuro: da un lato il Pdl, che si è appena dotato di una struttura interna per la quale in pratica Berlusconi decide tutto, dall’altro il Pd, che se da un lato ha una vocazione partecipativa dal basso, dall’altro ha dimostrato di essere la creatura e l’espressione della volontà di un apparato sopravvissuto a decenni di riciclaggio politico, di fatto è come se ci fosse una barriera tra le realtà locali e le stesse vecchie faccie che prendono le decisioni importanti. Il bipartitismo vi suona ancora così affascinante e americano? senza contare che se da un lato porta a una teorica maggiore stabilità (a cui non credo troppo, ma è un discorso che farò un’altra volta) dall’altro diminuisce fortemente la rappresentatività del nostro sistema politico, che già ora vede al potere una maggioranza espressa, tenendo conto dell’astensione, dal 36% circa degli italiani. Scendere ancora porterebbe, in una nazione che ospita al suo interno le realtà più diverse dagli interessi e bisogni più variegati, a una democrazia quasi solo nominale.

Il terzo quesito invece appare più interessante: votando sì scomparirà la possibilità di candidature multiple, in pratica ogni politico potrà essere candidato in un solo seggio. Uno dei meccanismi che ha permesso ai partiti di decidere in pratica chi sarebbe stato eletto, difatti, si basava proprio su questa possibilità: candidando i personaggi più rilevanti in praticamente tutti i seggi si poteva poi, decidendo a quali seggi rinunciare e facendo risalire tra gli eletti i non votati, comporre a tavolino la lista dei parlamentari eletti, in pratica lasciando alla gente solo la scelta della lista. Peccato che l’altra metà, peraltro maggiormente cruciale, di questo meccanismo, ovvero la mancanza del voto di preferenza, non viene minimamente toccata dal referendum che diventa così più che altro una mezza soluzione al problema. Nemmeno questo terzo quesito, l’unico che comunque merita probabilmente di essere votato, è quella rottura radicale col passato e col sistema partitocratico che Guzzetta e Segni sostengono di voler combattere.

Da come sta partendo il dibattito mi sembra che l’enfasi sia posta sui primi due quesiti, effettivamente più rilevanti, accostandoli blandamente e senza troppa profondità a un fantomatico “sistema bipartitico sul modello americano”, il che è vero a metà (tecnicamente sarebbe molto simile, ma la realtà italiana lo renderebbe di fatto molto diverso nel suo funzionamento concreto). Vedremo se ancora una volta sarà l’astensione (attiva o passiva) a giocare il ruolo decisivo, in tal senso tutto dipenderà da come verrà venduto il referendum, e da quanto verrà fatto (ingiustamente) passare come la soluzione per ridare ai cittadini le chiavi della politica.

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Santificare le feste oggi

È passata davvero una vita ormai, più di sessantanni, da una guerra che ha lasciato segni profondi nella Storia e nell’immaginario dell’Italia e degli italiani, e ogni anno di questi tempi si festeggia il giorno in cui tutto è finito e l’Italia è stata libera di ricominciare, di percorrere una strada nuova; fin qui, tutto bene. Peccato che ogni anno arrivi immancabile anche la stessa trita polemica sul significato politico di quel periodo burrascoso che precedette la liberazione, e ovviamente sulla memoria che se ne tramanda. Volete sapere qual è questo famoso significato politico? facciamo un passo indietro, perchè ci sono almeno due ordini di considerazioni da fare.
Innanzitutto bisogna ricordare cosa successe l’8 Settembre del ’43, quando il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, lesse alla radio questo messaggio:

Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza

Dal caos che si formò subito dopo, con la Germania che prese possesso della penisola mentre i Reali e il governo scappavano al Sud, uscirono due entità: la Repubblica Sociale Italiana (fondata da Mussolini a Salò ma in pratica controllata dai nazisti) e la multiforme massa di persone chiamata collettivamente col nome di Resistenza, che se anche dovette passare attraverso contrasti e diatribe interne seppe coadiuvare gli Alleati nella dura lotta di liberazione del territorio italiano, e dare un’impronta democratica, libertaria e antifascista alla Costituzione qualche anno più tardi. Questo movimento era come un’idra, tante teste per un corpo solo nel bene e nel male (e sul male che fecero alcuni partigiani ormai si scrive da tempo, anche se Pansa è convinto di dissotterrare in continuazione lo stesso cadavere fresco), e se anche qualcuno aveva sogni sovietici ed antidemocratici ebbe la buona creanza di accantonarli, e combattere per una nazione che aveva bisogno di pace. Per questo la festa del 25 Aprile celebra chi stava da quella parte là, quella di chi voleva la Liberazione dell’Italia dalle truppe nazifasciste, e non è semplicemente la festa dei caduti della guerra.

Un’altra considerazione da fare è che la Resistenza non è un semplice fatto storico, circoscritto a un certo periodo di tempo e dotato di un significato univoco: è invece il mito fondante della nostra Repubblica. Mi spiego meglio, ogni nazione ha alla sua origine un processo di mitopoiesi, come Roma aveva il viaggio di Enea e Atene il dono della Legge da parte della dea omonima, dai miti uno stato trae la sua legittimità, perlomeno nell’immaginario collettivo (e non va mai sottovalutata l’importanza dell’immaginario collettivo). Berlusconi, che proprio lavorando sulle immagini degli italiani si è fatto una carriera politica, si è da un lato prestato all’eterna battaglia della destra (non parlo della democrazia cristiana ma degli ex missini), ovvero far perdere di significato alla Resistenza e rendere nebulose le origine della Repubblica così da potersi infilare senza compromessi nel gioco politico (leggi: senza rinnegare, nemmeno pubblicamente, le loro origini fasciste), dall’altro lato ha portato un know how mistificatorio di livello decisamente superiore. In fondo lavora coi messaggi da più di vent’anni, è una materia che sa maneggiare molto bene.

Cambiare il nome da festa della Liberazione a festa della Libertà, invocare rispetto e pietà per i combattenti della parte avversa, instillare dubbi sulla sincerità delle intenzioni di una parte (quella peggio digerita) del movimento partigiano, sono tutti trucchi, tecniche che mirano non tanto a screditare la festa del 25 Aprile quanto a cambiarla di significato. L’idea di Berlusconi, e di tutta la galassia che ruota attorno alla sua personalità politica, è quella di costruire una sorta di immagine istituzionale che a loro è finora un po’ mancata per certi versi, ma come per la Costituzione che invece di essere rispettata si cerca di adeguare ai propri canoni di rispettabilità, così anche per la Storia e i valori della nostra Repubblica l’approccio è dal lato sbagliato: invece di andare loro incontro, si resta fermi e si pretende che siano loro ad adattarsi.

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Santificare le feste oggi

È passata davvero una vita ormai, più di sessantanni, da una guerra che ha lasciato segni profondi nella Storia e nell’immaginario dell’Italia e degli italiani, e ogni anno di questi tempi si festeggia il giorno in cui tutto è finito e l’Italia è s…

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Santificare le feste oggi

È passata davvero una vita ormai, più di sessantanni, da una guerra che ha lasciato segni profondi nella Storia e nell’immaginario dell’Italia e degli italiani, e ogni anno di questi tempi si festeggia il giorno in cui tutto è finito e l’Italia è stata libera di ricominciare, di percorrere una strada nuova; fin qui, tutto bene. Peccato che ogni anno arrivi immancabile anche la stessa trita polemica sul significato politico di quel periodo burrascoso che precedette la liberazione, e ovviamente sulla memoria che se ne tramanda. Volete sapere qual è questo famoso significato politico? facciamo un passo indietro, perchè ci sono almeno due ordini di considerazioni da fare.
Innanzitutto bisogna ricordare cosa successe l’8 Settembre del ’43, quando il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, lesse alla radio questo messaggio:

Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza

Dal caos che si formò subito dopo, con la Germania che prese possesso della penisola mentre i Reali e il governo scappavano al Sud, uscirono due entità: la Repubblica Sociale Italiana (fondata da Mussolini a Salò ma in pratica controllata dai nazisti) e la multiforme massa di persone chiamata collettivamente col nome di Resistenza, che se anche dovette passare attraverso contrasti e diatribe interne seppe coadiuvare gli Alleati nella dura lotta di liberazione del territorio italiano, e dare un’impronta democratica, libertaria e antifascista alla Costituzione qualche anno più tardi. Questo movimento era come un’idra, tante teste per un corpo solo nel bene e nel male (e sul male che fecero alcuni partigiani ormai si scrive da tempo, anche se Pansa è convinto di dissotterrare in continuazione lo stesso cadavere fresco), e se anche qualcuno aveva sogni sovietici ed antidemocratici ebbe la buona creanza di accantonarli, e combattere per una nazione che aveva bisogno di pace. Per questo la festa del 25 Aprile celebra chi stava da quella parte là, quella di chi voleva la Liberazione dell’Italia dalle truppe nazifasciste, e non è semplicemente la festa dei caduti della guerra.

Un’altra considerazione da fare è che la Resistenza non è un semplice fatto storico, circoscritto a un certo periodo di tempo e dotato di un significato univoco: è invece il mito fondante della nostra Repubblica. Mi spiego meglio, ogni nazione ha alla sua origine un processo di mitopoiesi, come Roma aveva il viaggio di Enea e Atene il dono della Legge da parte della dea omonima, dai miti uno stato trae la sua legittimità, perlomeno nell’immaginario collettivo (e non va mai sottovalutata l’importanza dell’immaginario collettivo). Berlusconi, che proprio lavorando sulle immagini degli italiani si è fatto una carriera politica, si è da un lato prestato all’eterna battaglia della destra (non parlo della democrazia cristiana ma degli ex missini), ovvero far perdere di significato alla Resistenza e rendere nebulose le origine della Repubblica così da potersi infilare senza compromessi nel gioco politico (leggi: senza rinnegare, nemmeno pubblicamente, le loro origini fasciste), dall’altro lato ha portato un know how mistificatorio di livello decisamente superiore. In fondo lavora coi messaggi da più di vent’anni, è una materia che sa maneggiare molto bene.

Cambiare il nome da festa della Liberazione a festa della Libertà, invocare rispetto e pietà per i combattenti della parte avversa, instillare dubbi sulla sincerità delle intenzioni di una parte (quella peggio digerita) del movimento partigiano, sono tutti trucchi, tecniche che mirano non tanto a screditare la festa del 25 Aprile quanto a cambiarla di significato. L’idea di Berlusconi, e di tutta la galassia che ruota attorno alla sua personalità politica, è quella di costruire una sorta di immagine istituzionale che a loro è finora un po’ mancata per certi versi, ma come per la Costituzione che invece di essere rispettata si cerca di adeguare ai propri canoni di rispettabilità, così anche per la Storia e i valori della nostra Repubblica l’approccio è dal lato sbagliato: invece di andare loro incontro, si resta fermi e si pretende che siano loro ad adattarsi.

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È passata davvero una vita ormai, più di sessantanni, da una guerra che ha lasciato segni profondi nella Storia e nell’immaginario dell’Italia e degli italiani, e ogni anno di questi tempi si festeggia il giorno in cui tutto è finito e l’Italia è stata libera di ricominciare, di percorrere una strada nuova; fin qui, tutto bene. Peccato che ogni anno arrivi immancabile anche la stessa trita polemica sul significato politico di quel periodo burrascoso che precedette la liberazione, e ovviamente sulla memoria che se ne tramanda. Volete sapere qual è questo famoso significato politico? facciamo un passo indietro, perchè ci sono almeno due ordini di considerazioni da fare.
Innanzitutto bisogna ricordare cosa successe l’8 Settembre del ’43, quando il nuovo capo del governo, Pietro Badoglio, lesse alla radio questo messaggio:

Il governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower comandante in capo delle forze alleate anglo-americane.

La richiesta è stata accolta.

Conseguentemente, ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza

Dal caos che si formò subito dopo, con la Germania che prese possesso della penisola mentre i Reali e il governo scappavano al Sud, uscirono due entità: la Repubblica Sociale Italiana (fondata da Mussolini a Salò ma in pratica controllata dai nazisti) e la multiforme massa di persone chiamata collettivamente col nome di Resistenza, che se anche dovette passare attraverso contrasti e diatribe interne seppe coadiuvare gli Alleati nella dura lotta di liberazione del territorio italiano, e dare un’impronta democratica, libertaria e antifascista alla Costituzione qualche anno più tardi. Questo movimento era come un’idra, tante teste per un corpo solo nel bene e nel male (e sul male che fecero alcuni partigiani ormai si scrive da tempo, anche se Pansa è convinto di dissotterrare in continuazione lo stesso cadavere fresco), e se anche qualcuno aveva sogni sovietici ed antidemocratici ebbe la buona creanza di accantonarli, e combattere per una nazione che aveva bisogno di pace. Per questo la festa del 25 Aprile celebra chi stava da quella parte là, quella di chi voleva la Liberazione dell’Italia dalle truppe nazifasciste, e non è semplicemente la festa dei caduti della guerra.

Un’altra considerazione da fare è che la Resistenza non è un semplice fatto storico, circoscritto a un certo periodo di tempo e dotato di un significato univoco: è invece il mito fondante della nostra Repubblica. Mi spiego meglio, ogni nazione ha alla sua origine un processo di mitopoiesi, come Roma aveva il viaggio di Enea e Atene il dono della Legge da parte della dea omonima, dai miti uno stato trae la sua legittimità, perlomeno nell’immaginario collettivo (e non va mai sottovalutata l’importanza dell’immaginario collettivo). Berlusconi, che proprio lavorando sulle immagini degli italiani si è fatto una carriera politica, si è da un lato prestato all’eterna battaglia della destra (non parlo della democrazia cristiana ma degli ex missini), ovvero far perdere di significato alla Resistenza e rendere nebulose le origine della Repubblica così da potersi infilare senza compromessi nel gioco politico (leggi: senza rinnegare, nemmeno pubblicamente, le loro origini fasciste), dall’altro lato ha portato un know how mistificatorio di livello decisamente superiore. In fondo lavora coi messaggi da più di vent’anni, è una materia che sa maneggiare molto bene.

Cambiare il nome da festa della Liberazione a festa della Libertà, invocare rispetto e pietà per i combattenti della parte avversa, instillare dubbi sulla sincerità delle intenzioni di una parte (quella peggio digerita) del movimento partigiano, sono tutti trucchi, tecniche che mirano non tanto a screditare la festa del 25 Aprile quanto a cambiarla di significato. L’idea di Berlusconi, e di tutta la galassia che ruota attorno alla sua personalità politica, è quella di costruire una sorta di immagine istituzionale che a loro è finora un po’ mancata per certi versi, ma come per la Costituzione che invece di essere rispettata si cerca di adeguare ai propri canoni di rispettabilità, così anche per la Storia e i valori della nostra Repubblica l’approccio è dal lato sbagliato: invece di andare loro incontro, si resta fermi e si pretende che siano loro ad adattarsi.

L’imbarazzo della scelta

Un annetto fa uno dei primi post di questo blog si intitolava “no more excuses” ed era un’analisi del voto (non ve lo linko che non era un gran che, ad ogni modo lo trovate nella colonnina a destra), e volendo avrei potuto riciclare il titolo, non fosse che in fondo la scusa del “non ne ho più voglia” ce l’avrei ancora…se fosse vero! In realtà è solo che ho un piccolo problema legato alle cose che smetto di fare per un periodo, diciamo che ci metto un po’ a recuperare la routine. Tutto questo lungo preambolo per dire che mi sono laureato (110 e lode! va bene, a Filosofia in specialistica non è così raro) e che ora ho anche troppo tempo da dedicare a questo spazio, tanto che probabilmente ne aprirò un altro da dedicare solo agli argomenti scientifici, e che quindi riprenderò (spero) il consueto ritmo di scrittura.

E in tutto questo tempo cos’è successo? provo a fare una lista, tanto per farvi sapere che non ho intenzione di scrivere al passato di questi argomenti, prendeteli come i post che non ho scritto. L’imbarazzo della scelta è quello che avrei se volessi cominciare da oggi a recuperare questo argomenti perduti, perchè sono l’uno più succoso dell’altro.

– La crisi economica sta diventando una barzelletta per i telegiornali e un’occasione per i grandi politici del mondo per dimostrare di capirci qualcosa, o perlomeno darlo a intendere. La situazione mi sembra in stallo e ho il forte sospetto che in pochi sappiano esattamente cosa fare, alla fine se ne uscirà ma non sarà certo l’ultima, come sostiene Obama.

– Il governo Berlusconi sta..oddio, non ho davvero parole, credo si sia superato il limite del dicibile in più di un’occasione, ma forse di queste cose ne parlerò che fanno sempre audience quindi per ora niente.

– Beppe Grillo è impazzito, oggi giravo per i giardini Margherita (un parco poco fuori porta Santo Stefano a Bologna) e un ragazzo mi ha messo in mano un volantino, a questo giro le liste civiche sono direttamente sponsorizzate (con tanto di indirizzo del blog sul logo) dal comico genovese, che peraltro da un po’ è diventato illeggibile per via dei suoi toni messianici (e parla uno che all’epoca del primo vday minimizzava chi lo criticava per questo).

– La gente nel mondo continua a morire e la Chiesa, a modo suo, si preoccupa che non manchi mai il materiale da mandare al fronte, tra un aborto negato e un preservativo che non si può usare. La vicenda della Englaro è finita in maniera grottesca, ma non aggiungerò nulla poichè spero di dimenticarmi presto lo spettacolo grottesco a cui ho dovuto assistere.

e poi basta dai, ci sarebbe dell’altro ma questo era solo un post per scaldarmi le dita, da domani si ricomincia a fare sul serio.

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L’imbarazzo della scelta

Un annetto fa uno dei primi post di questo blog si intitolava “no more excuses” ed era un’analisi del voto (non ve lo linko che non era un gran che, ad ogni modo lo trovate nella colonnina a destra), e volendo avrei potuto riciclare il titolo, non foss…

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L’imbarazzo della scelta

Un annetto fa uno dei primi post di questo blog si intitolava “no more excuses” ed era un’analisi del voto (non ve lo linko che non era un gran che, ad ogni modo lo trovate nella colonnina a destra), e volendo avrei potuto riciclare il titolo, non fosse che in fondo la scusa del “non ne ho più voglia” ce l’avrei ancora…se fosse vero! In realtà è solo che ho un piccolo problema legato alle cose che smetto di fare per un periodo, diciamo che ci metto un po’ a recuperare la routine. Tutto questo lungo preambolo per dire che mi sono laureato (110 e lode! va bene, a Filosofia in specialistica non è così raro) e che ora ho anche troppo tempo da dedicare a questo spazio, tanto che probabilmente ne aprirò un altro da dedicare solo agli argomenti scientifici, e che quindi riprenderò (spero) il consueto ritmo di scrittura.

E in tutto questo tempo cos’è successo? provo a fare una lista, tanto per farvi sapere che non ho intenzione di scrivere al passato di questi argomenti, prendeteli come i post che non ho scritto. L’imbarazzo della scelta è quello che avrei se volessi cominciare da oggi a recuperare questo argomenti perduti, perchè sono l’uno più succoso dell’altro.

– La crisi economica sta diventando una barzelletta per i telegiornali e un’occasione per i grandi politici del mondo per dimostrare di capirci qualcosa, o perlomeno darlo a intendere. La situazione mi sembra in stallo e ho il forte sospetto che in pochi sappiano esattamente cosa fare, alla fine se ne uscirà ma non sarà certo l’ultima, come sostiene Obama.

– Il governo Berlusconi sta..oddio, non ho davvero parole, credo si sia superato il limite del dicibile in più di un’occasione, ma forse di queste cose ne parlerò che fanno sempre audience quindi per ora niente.

– Beppe Grillo è impazzito, oggi giravo per i giardini Margherita (un parco poco fuori porta Santo Stefano a Bologna) e un ragazzo mi ha messo in mano un volantino, a questo giro le liste civiche sono direttamente sponsorizzate (con tanto di indirizzo del blog sul logo) dal comico genovese, che peraltro da un po’ è diventato illeggibile per via dei suoi toni messianici (e parla uno che all’epoca del primo vday minimizzava chi lo criticava per questo).

– La gente nel mondo continua a morire e la Chiesa, a modo suo, si preoccupa che non manchi mai il materiale da mandare al fronte, tra un aborto negato e un preservativo che non si può usare. La vicenda della Englaro è finita in maniera grottesca, ma non aggiungerò nulla poichè spero di dimenticarmi presto lo spettacolo grottesco a cui ho dovuto assistere.

e poi basta dai, ci sarebbe dell’altro ma questo era solo un post per scaldarmi le dita, da domani si ricomincia a fare sul serio.

Puoi leggere l\\\’Articolo completo direttamente sul sito di In che senso?

L’imbarazzo della scelta

Un annetto fa uno dei primi post di questo blog si intitolava “no more excuses” ed era un’analisi del voto (non ve lo linko che non era un gran che, ad ogni modo lo trovate nella colonnina a destra), e volendo avrei potuto riciclare il titolo, non fosse che in fondo la scusa del “non ne ho più voglia” ce l’avrei ancora…se fosse vero! In realtà è solo che ho un piccolo problema legato alle cose che smetto di fare per un periodo, diciamo che ci metto un po’ a recuperare la routine. Tutto questo lungo preambolo per dire che mi sono laureato (110 e lode! va bene, a Filosofia in specialistica non è così raro) e che ora ho anche troppo tempo da dedicare a questo spazio, tanto che probabilmente ne aprirò un altro da dedicare solo agli argomenti scientifici, e che quindi riprenderò (spero) il consueto ritmo di scrittura.

E in tutto questo tempo cos’è successo? provo a fare una lista, tanto per farvi sapere che non ho intenzione di scrivere al passato di questi argomenti, prendeteli come i post che non ho scritto. L’imbarazzo della scelta è quello che avrei se volessi cominciare da oggi a recuperare questo argomenti perduti, perchè sono l’uno più succoso dell’altro.

– La crisi economica sta diventando una barzelletta per i telegiornali e un’occasione per i grandi politici del mondo per dimostrare di capirci qualcosa, o perlomeno darlo a intendere. La situazione mi sembra in stallo e ho il forte sospetto che in pochi sappiano esattamente cosa fare, alla fine se ne uscirà ma non sarà certo l’ultima, come sostiene Obama.

– Il governo Berlusconi sta..oddio, non ho davvero parole, credo si sia superato il limite del dicibile in più di un’occasione, ma forse di queste cose ne parlerò che fanno sempre audience quindi per ora niente.

– Beppe Grillo è impazzito, oggi giravo per i giardini Margherita (un parco poco fuori porta Santo Stefano a Bologna) e un ragazzo mi ha messo in mano un volantino, a questo giro le liste civiche sono direttamente sponsorizzate (con tanto di indirizzo del blog sul logo) dal comico genovese, che peraltro da un po’ è diventato illeggibile per via dei suoi toni messianici (e parla uno che all’epoca del primo vday minimizzava chi lo criticava per questo).

– La gente nel mondo continua a morire e la Chiesa, a modo suo, si preoccupa che non manchi mai il materiale da mandare al fronte, tra un aborto negato e un preservativo che non si può usare. La vicenda della Englaro è finita in maniera grottesca, ma non aggiungerò nulla poichè spero di dimenticarmi presto lo spettacolo grottesco a cui ho dovuto assistere.

e poi basta dai, ci sarebbe dell’altro ma questo era solo un post per scaldarmi le dita, da domani si ricomincia a fare sul serio.

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Migliori a parole

Se non riuscite a leggere l’articolo lo trovate dove l’ho preso, ovvero su Wittgenstein, e vi consiglio di spendere questi due minuti, anche perchè l’Unità (con buona pace di tutti gli estimatori, tra i quali potrei mettermi pure io peraltro, della nuova direttrice DeGregorio) è per molti versi uno specchio fedele della maniera in cui il partito democratico vede sè stesso. E se scoprire che il partito democratico ha questa visione della storia non stupisce, non smette nemmeno di far pensare.

Ma non è nemmeno tanto il fatto che venga presentato il 94 come anno in cui “una nuova generazione ha preso il potere”, che fa un po’ ridere ma è anche comprensibile nell’ottica di un processo di mitopoiesi che ogni partito (ma non solo) ha bisogno di affrontare specialmente nei momenti difficili, nè l’idea che Veltroni e D’Alema fossero il meglio che il partito poteva offrire all’epoca, e il presentare il loro duello come inevitabile (forse è anche vero). Quello che fa veramente inorridire è questa parte che vale la pena rileggere:

[Veltroni e D’alema, ndp] Sono stati davvero i migliori, e tutto sommato credo che lo siano ancora. Ma, prima l’uno e poi l’altro, hanno commesso una enorme quantità di errori. Nel 2009, lo stato delle cose è quello che abbiamo tutti davanti agli occhi. Questa generazione politica lotterà strenuamente per non ammetterlo, ma oggi, quindici anni dopo, a giudicare i fatti, bisogna concludere che una generazione politica intera ha fallito.

Nel mio mondo ideale, e ditemi se il vostro è diverso, le teorie, i progetti e soprattutto le persone devono superare la prova dei fatti. Due politici che (peraltro in un quindicennio di attività) commettono “una enorme quantità di errori” non sono i migliori, a meno di non pensare che sia impossibile trovarsi in quelle posizioni e agire correttamente (e non sono così pessimista), sono invece pessimi politici che malauguratamente non si è riusciti a sostituire, e pensare che non vi fosse nessuna resistenza ad un turn-over basato sul merito è prendere in giro la propria intelligenza. Quello che è successo è che nel 1994 una classe politica frastornata ha subito qualche innesto, ma sempre pescando tra i pupilli allevati da decenni: gente plasmata a propria immagine e somiglianza e quindi inevitabilmente già vecchia e inadatta. Non si è trattato di prendere i migliori, si è trattato invece di prendere chi aveva staccato il numerino prima (o si era accodato alla fila più veloce del supermercato, per intenderci).

Quando poi Piccolo aggiunge, giustamente, che “una generazione politica intera ha fallito” dovrebbe aggiungere tetro che sarebbe ora che tutti quelli invischiati nel fallimento se ne andassero a far confusione da un’altra parte, e invece sostiene che non ci sia un ricambio pronto in panchina. Ecco, forse su questo ha una parziale ragione, ma è solo un motivo in più per cacciare a pedate chi non ha dimostrato di pensare al futuro del partito invece che al proprio, e sperare nel colpo di fortuna con qualche persona nuova. Franceschini fa ridere, nei brevi intervalli tra una crisi di pianto e l’altra, perchè non si conclude il ragionamento e si dice chiaramente che è tutto da rifare? che non è nemmeno questione di prendere voti alle europee, si tratta prima di tutto di avere qualcosa da votare, un partito magari e non una lista di nomi.

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Migliori a parole

Se non riuscite a leggere l’articolo lo trovate dove l’ho preso, ovvero su Wittgenstein, e vi consiglio di spendere questi due minuti, anche perchè l’Unità (con buona pace di tutti gli estimatori, tra i quali potrei mettermi pure io peraltro, della n…

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Migliori a parole

Se non riuscite a leggere l’articolo lo trovate dove l’ho preso, ovvero su Wittgenstein, e vi consiglio di spendere questi due minuti, anche perchè l’Unità (con buona pace di tutti gli estimatori, tra i quali potrei mettermi pure io peraltro, della nuova direttrice DeGregorio) è per molti versi uno specchio fedele della maniera in cui il partito democratico vede sè stesso. E se scoprire che il partito democratico ha questa visione della storia non stupisce, non smette nemmeno di far pensare.

Ma non è nemmeno tanto il fatto che venga presentato il 94 come anno in cui “una nuova generazione ha preso il potere”, che fa un po’ ridere ma è anche comprensibile nell’ottica di un processo di mitopoiesi che ogni partito (ma non solo) ha bisogno di affrontare specialmente nei momenti difficili, nè l’idea che Veltroni e D’Alema fossero il meglio che il partito poteva offrire all’epoca, e il presentare il loro duello come inevitabile (forse è anche vero). Quello che fa veramente inorridire è questa parte che vale la pena rileggere:

[Veltroni e D’alema, ndp] Sono stati davvero i migliori, e tutto sommato credo che lo siano ancora. Ma, prima l’uno e poi l’altro, hanno commesso una enorme quantità di errori. Nel 2009, lo stato delle cose è quello che abbiamo tutti davanti agli occhi. Questa generazione politica lotterà strenuamente per non ammetterlo, ma oggi, quindici anni dopo, a giudicare i fatti, bisogna concludere che una generazione politica intera ha fallito.

Nel mio mondo ideale, e ditemi se il vostro è diverso, le teorie, i progetti e soprattutto le persone devono superare la prova dei fatti. Due politici che (peraltro in un quindicennio di attività) commettono “una enorme quantità di errori” non sono i migliori, a meno di non pensare che sia impossibile trovarsi in quelle posizioni e agire correttamente (e non sono così pessimista), sono invece pessimi politici che malauguratamente non si è riusciti a sostituire, e pensare che non vi fosse nessuna resistenza ad un turn-over basato sul merito è prendere in giro la propria intelligenza. Quello che è successo è che nel 1994 una classe politica frastornata ha subito qualche innesto, ma sempre pescando tra i pupilli allevati da decenni: gente plasmata a propria immagine e somiglianza e quindi inevitabilmente già vecchia e inadatta. Non si è trattato di prendere i migliori, si è trattato invece di prendere chi aveva staccato il numerino prima (o si era accodato alla fila più veloce del supermercato, per intenderci).

Quando poi Piccolo aggiunge, giustamente, che “una generazione politica intera ha fallito” dovrebbe aggiungere tetro che sarebbe ora che tutti quelli invischiati nel fallimento se ne andassero a far confusione da un’altra parte, e invece sostiene che non ci sia un ricambio pronto in panchina. Ecco, forse su questo ha una parziale ragione, ma è solo un motivo in più per cacciare a pedate chi non ha dimostrato di pensare al futuro del partito invece che al proprio, e sperare nel colpo di fortuna con qualche persona nuova. Franceschini fa ridere, nei brevi intervalli tra una crisi di pianto e l’altra, perchè non si conclude il ragionamento e si dice chiaramente che è tutto da rifare? che non è nemmeno questione di prendere voti alle europee, si tratta prima di tutto di avere qualcosa da votare, un partito magari e non una lista di nomi.

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Migliori a parole

Se non riuscite a leggere l’articolo lo trovate dove l’ho preso, ovvero su Wittgenstein, e vi consiglio di spendere questi due minuti, anche perchè l’Unità (con buona pace di tutti gli estimatori, tra i quali potrei mettermi pure io peraltro, della nuova direttrice DeGregorio) è per molti versi uno specchio fedele della maniera in cui il partito democratico vede sè stesso. E se scoprire che il partito democratico ha questa visione della storia non stupisce, non smette nemmeno di far pensare.

Ma non è nemmeno tanto il fatto che venga presentato il 94 come anno in cui “una nuova generazione ha preso il potere”, che fa un po’ ridere ma è anche comprensibile nell’ottica di un processo di mitopoiesi che ogni partito (ma non solo) ha bisogno di affrontare specialmente nei momenti difficili, nè l’idea che Veltroni e D’Alema fossero il meglio che il partito poteva offrire all’epoca, e il presentare il loro duello come inevitabile (forse è anche vero). Quello che fa veramente inorridire è questa parte che vale la pena rileggere:

[Veltroni e D’alema, ndp] Sono stati davvero i migliori, e tutto sommato credo che lo siano ancora. Ma, prima l’uno e poi l’altro, hanno commesso una enorme quantità di errori. Nel 2009, lo stato delle cose è quello che abbiamo tutti davanti agli occhi. Questa generazione politica lotterà strenuamente per non ammetterlo, ma oggi, quindici anni dopo, a giudicare i fatti, bisogna concludere che una generazione politica intera ha fallito.

Nel mio mondo ideale, e ditemi se il vostro è diverso, le teorie, i progetti e soprattutto le persone devono superare la prova dei fatti. Due politici che (peraltro in un quindicennio di attività) commettono “una enorme quantità di errori” non sono i migliori, a meno di non pensare che sia impossibile trovarsi in quelle posizioni e agire correttamente (e non sono così pessimista), sono invece pessimi politici che malauguratamente non si è riusciti a sostituire, e pensare che non vi fosse nessuna resistenza ad un turn-over basato sul merito è prendere in giro la propria intelligenza. Quello che è successo è che nel 1994 una classe politica frastornata ha subito qualche innesto, ma sempre pescando tra i pupilli allevati da decenni: gente plasmata a propria immagine e somiglianza e quindi inevitabilmente già vecchia e inadatta. Non si è trattato di prendere i migliori, si è trattato invece di prendere chi aveva staccato il numerino prima (o si era accodato alla fila più veloce del supermercato, per intenderci).

Quando poi Piccolo aggiunge, giustamente, che “una generazione politica intera ha fallito” dovrebbe aggiungere tetro che sarebbe ora che tutti quelli invischiati nel fallimento se ne andassero a far confusione da un’altra parte, e invece sostiene che non ci sia un ricambio pronto in panchina. Ecco, forse su questo ha una parziale ragione, ma è solo un motivo in più per cacciare a pedate chi non ha dimostrato di pensare al futuro del partito invece che al proprio, e sperare nel colpo di fortuna con qualche persona nuova. Franceschini fa ridere, nei brevi intervalli tra una crisi di pianto e l’altra, perchè non si conclude il ragionamento e si dice chiaramente che è tutto da rifare? che non è nemmeno questione di prendere voti alle europee, si tratta prima di tutto di avere qualcosa da votare, un partito magari e non una lista di nomi.

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Io, ad esempio, non ci avrei scommesso

Avrei voluto tagliare questo traguardo prima della fine del 2008, così da chiudere l’anno con la cifra tonda, ma come avrete notato non ho molto tempo per scrivere di recente. Ad ogni modo, siate felici che il costro blog preferito compia 100 post, vu…

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Io, ad esempio, non ci avrei scommesso

Avrei voluto tagliare questo traguardo prima della fine del 2008, così da chiudere l’anno con la cifra tonda, ma come avrete notato non ho molto tempo per scrivere di recente. Ad ogni modo, siate felici che il costro blog preferito compia 100 post, vuol dire che chi lo scrive si diverte abbastanza e non ha intenzione di chiuderlo per molto tempo ancora! (credo)

A proposito, mentre cerco di trovare qualche minuto per scrivere qualcosa e allo stesso tempo provo a laurearmi, voi

-notate che nella colonnina a destra è comparso un nuovo riquadro
-costernatevi perchè il numero di gente che “mi segue” è ancora bassino
-fate quello che dovete fare (immagino avere un account blogspot) e cominciate a seguirmi, potenzierà il mio ego!

a presto!

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