corporate gardens

Tutte le grandi aziende ne hanno già uno e utilizzano gli ampi spazi esterni dei loro palazzi per coltivare ortaggi e frutta che poi i loro dipendenti consumano a casa.

La sede della casa automobilistica Toyota a Georgetown, ad esempio, ha un enorme orto di pomodori e zucchine, mentre presso il quartier generale del grande magazzino Kohl, a Milwaukee, si coltivano bietole, spinaci e insalate.  Persino PepsiCo, il colosso alimentare da 60 miliardi di dollari specializzato nel cosiddetto cibo spazzatura ha creato al suo interno un corporate garden, rigorosamente biologico, coltivato dagli impiegati che alla fine della giornata tornano a casa con le borse piene di prodotti.

L’intento, spiegano diversi manager coinvolti in questi progetti, è tirare su il morale degli impiegati: per questo le compagnie che non possono permettersi aumenti salariali, viaggi premio e bonus, sono ricorse al nuovo benefit: il ‘corporate garden’, cioè l’orto aziendale. Questa tendenza, che fino a qualche tempo fa si era sviluppata solo in aziende in qualche modo più “dinamiche” come Google e Yahoo, ha ora contagiato centinaia di compagnie in tutto il Paese. Soprattutto quelle che hanno le sedi in un contesto metropolitano, che hanno persino realizzato degli orti sulle terrazze.

In Italia la tendenza non ha ancora preso piede, ma come conferma Sebastiano Venneri, vicepresidente di Legambiente, “una sensibilità verso le tematiche ambientali c’è già da parte delle grandi e piccole aziende. Ritengo che l’idea di realizzare dei corporate gardens sia utile, interessante e in linea con alcune politiche che le imprese mettono già in atto come la possibilità di fare volontariato ambientale, di partecipare alle escursioni e alle iniziative di pulizia degli spazi verdi, a cui tranquillamente potrebbe aggiungersi la coltivazione dell’orto”. Questa nuova tendenza nata negli Usa – conclude Venneri – è la spia della mancanza di un aspetto ‘naturale’ del vivere, che soprattutto nei contesti urbani rappresenta un handicap.
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