Cartolina ad Antonia (Pozzi) di Paolo Veronese

Dov’eri Antonia? Una traccia, una pagina scossa dal vento, scarmigliata veste di carta fragile, onda sonora che si alza e stropiccia entro una poesia. Dov’era il tuo sguardo quel 25 settembre, che ha sussurrato all’orecchio e pianto questi inchiostri, intensi come tua la vita, tua la carne dei versi…
Non ti ho scorta forse all’ombra di un cipresso, o una colonna rustica? Un cappello di paglia, un vestitino chiaro come sabbia, parevi in attesa di un amore insperato, un appuntamento fissato in fretta, e lui che tarda, sguardi veloci toccano appena i passanti, le ciglia un battito, sussulta il cuore. Non ti rubo che un istante, una vita e una piuma che svolazza, ho fatto tardi, mia cara, tardi che son cent’anni quasi… Ma tu hai lasciato il tuo biglietto, un corsivo stretto e zigzagante, un appunto, una cartolina in cui ti scorgo e già svanisci, già scolora, già sfuma nel crepuscolo, un ciondolio di barche, e tu, dove sei…
La bocca amara come avessi detto una bugia, soffio fuori il fumo di un sigaro, leggo le carte che sono i tuoi baci al vento; rapisco quei momenti e mi impossesso della tua anima, sbircio attraverso un velo leggero e trasognato. Come passa in fretta il tempo! Scusa, ho fatto tardi e…

Strada Del Garda

Qui, dove i massi franano
nel lago vivo che al vento
fa rumore di mare
e in alto a scrosci gli ulivi
chiari rispondono,
giungeva la strada di Roma,
portava il più dolce
d quei poeti
con le sue tenere tristezze
a questo sole.

Di qui sull’arsura del Baldo
s’avviarono i soldati,
vestirono di fuoco i monti,
di sangue e d’anime.

Ora la nuova strada di Roma
guarda a quelle anime,
rompe la roccia:
listata di bianco e di nero
pianta oleandri e cipressi
a guardia delle pietre vinte,
che crescano – per quando
noi saremo morti –
ed ogni riva ne saluti le cime.

E ogni riva si dica:
– Quella è la strada che porta
pace e forza da Roma
verso i monti

Barche

Come una barca
da carico, a sera,
quando il maltempo viene sul lago –
se non è nel suo porto
toglie l’áncora
e si accinge a tornare –

e a lungo costeggiando va,
mentre un uomo, da bordo, contro il fondo
la sua pertica spinge e dalla riva
un vecchio, incappucciato – perché già
piove –
accompagna la gomena
fin ch’è doppiata
laggiù
la punta –
ed oramai la barca
più
non si vede –

così tu sai –
non è vero –
quale è il tuo villaggio, la tua casa,
quando ti colga la pioggia
in un porto straniero –
e la notte.

25 settembre 1933

Il cane sordo

Sordo per il gran vento
che nel castello vola e grida
è divenuto il cane.

Sopra gli spalti – in lago
protesi – corre,
senza sussulti:
né il muschio sulle pietre
a grande altezza lo insidia,
né un tegolo rimosso.

Tanto chiusa e intera
è in lui la forza
da che non ha nome
più per nessuno
e va per una sua
segreta linea
libero.

25 settembre 1933

Poesie tratte da “Parole” di Antonia Pozzi

Antonia Pozzi nacque a Milano il 12 febbraio del 1912, da famiglia agiata, di un lignaggio culturale ricco e illustre (la nonna materna era nipote di Tommaso Grossi); ebbe un’educazione accurata e poliedrica: lingue, musica e arte, e ben presto si distinse nella scrittura poetica, attività che la portò a essere una delle più voci alte della letteratura a lei contemporanea.
La passione per la montagna segnò marcatamente la propria visione poetica, densa di riferimenti ai paesaggi che conosceva per la frequenza a Pasturo, un paesino della Valsassina.
Negli anni Trenta conobbe Dino Formaggio, col quale intrecciò una intensa amicizia (di cui resta un prezioso scambio epistolare), tuttavia mai sfociata in una compiuta relazione. Conobbe anche Vittorio Sereni, Maria Corti e l’entourage letterario dell’epoca.
La sua vita era destinata a interrompersi nel dicembre del ’38, in cui fu trovata agonizzante per aver ingerito barbiturici. Nell’ultima lettera ai genitori esprime le sue volontà: (…) Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora sono in pace. La vostra Antonia.

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