Autore: Daniel_Colm

Wiener Deewan – un pranzo a buon mercato a Vienna

Siccome fra un mesetto e qualcosa abbandonerò Vienna in maniera abbastanza definitiva causa termine studi, sarebbe il caso di organizzare in maniera sistematica i miei pochi consigli per i posteri che verranno qui e io non ci sarò più per guidarli alla ricerca dei posti più fighi carini che ho trovato in questi due annetti.

Inizio la serie di post (è una promessa che proverò a mantenere) con il Wiener Deewan. Un posto carino dove si mangia a buffet all-you-can-eat e si paga quelli che si vuole (non andrei comunque sotto i 5€). Il cibo segue la cucina pachistana e oggi ho trovato ceci bolliti (credo), una sorta di goulash di pollo, patate e cipolle, riso, insalata e roba così. Mi sa che il menù cambia di giorno in giorno, ma è bene elencare quello che ho trovato oggi come riferimento per dare un po’ un’idea di quello che c’è.
Per il bere una cameriera ci serviva una brocca di acqua fresca al tavolo. (Tra l’altro era italiana, ma non sono stato a fare la mia solita chiacchiera da co-immigrato che faccio di solito nelle gelaterie, quindi non posso raccontarvi di più sul suo conto.) Il cibo invece, come detto è a buffet, quindi bisogna alzare le chiappe ogni volta che si finisce il piatto, il che non è male: almeno non arrivi a fine pasto che ti sorprendi che fai prima a rotolare giù dalla seria che a raddrizzare le ginocchia. Se poi però evitate di andare fino al piano più basso, come abbiamo fatto noi oggi, vi risparmiate di fare le scale ogni volta. In medio stat virtus, no?
Comunque il posto lo stra-consiglio. Noi siamo stati oggi (martedì) all’ora di pranzo per le 13.30. Abbiamo trovato posto a sedere senza grandi problemi, ma probabilmente perché per i locali ormai a quell’ora il pranzo è già bello che digerito. Se arrivate là prima aspettatevi che ci sia un po’ di ressa. Se invece ci andate alle 14.00 immagino che invece sarà vuoto come un hangar… vuoto.

La location è bella centrale, vicino a Schottentor, quindi ci arrivate comodi con la U2 o con un buon numero di tram. L’indirizzo esatto è Liechtensteinstraße 10, accanto a un messicano che fa burritos e fajitas e roba così, che però non ho mai provato.
Rimetto qui il link al sito del locale, che è bello pieno di foto e quindi non serve parlare leggere tedesco per farne uso. L’immagine l’ho appunto presa dal sito.

PS: Se invece vi andasse di cucinarvi voi da mangiare autonomamente, consiglio di fare un salto al Brunnenmarkt per comprare gli ingredienti.

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/QP4frUv_d6s/wiener-deewan-un-pranzo-buon-mercato.html

Berlusconi è l’unico già in campagna elettorale

Mentre Grillo sta lavorando per assorbire il malcontento nell’elettorato del centrosinistra, Berlusconi è già nel pieno della sua campagna elettorale. Riprendo da un recente articolo di Linkiesta questo paragrafo che spiega bene gli svantaggi legati all’abolizione e -ancor peggio- restituzione dell’IMU:

«Oltre a congelare il pagamento della prima rata dell’Imu, Letta ha annunciato il blocco del previsto aumento dell’Iva, dal 21 al 22 per cento. Se il Pdl insiste sul tema Imu, e Letta cede, la vittima sarà questo blocco: l’Iva aumenterebbe dell’1% su 21, quindi del 5% circa. In tal caso i 4 miliardi da mettere in tasca ai proprietari di prime case sarebbero prelevati dalla casse dello Stato, che a sua volta si rifarebbe su tutti i consumatori, tramite l’Iva. È evidente l’effetto di redistribuzione negativa, dai poveri ai ricchi, di tale esito, che ad oggi appare il più probabile. Si aggiunga che, essendo l’Iva un’imposta largamente evasa, è prevedibile che tale negativo effetto redistributivo sarebbe attenuato solo da un ulteriore aumento del tasso di evasione dell’Iva: davvero un capolavoro!»

Bisogna dare merito a Berlusconi che è l’unico che pare capire che la campagna elettorale non finisce mai, soprattutto in un paese come l’Italia dove dal 1994 in media i governi durano circa 20 mesi. Se l’abolizione dell’IMU passa, Letta dovrà pareggiare le mancate entrate con un aumento delle tasse altrove. Forse non sarà l’IMU, ma di certo Berlusconi non mancherà a farci notare da dove verranno durante la prossima elezione. E non dirà di certo «per abbassare/togliere l’IMU, Letta ha dovuto aumentare necessariamente XY», ma molto più probabilmente la formulazione sarà «Letta ha aumentato XY, ma almeno, grazie alla mia azione, oggi non dobbiamo pagare l’IMU». Berlusconi passerà come quello che abbassa le tasse, Letta -o in generale il centrosinistra in generale, visto che B. deve trovare un modo di bruciare anche Renzi- come quello che le aumenta. Non ci vuole un genio per capire che il rapporto di causalità è invertito, ma andatelo a spiegare voi agli elettori. E visto che Berlusconi potrà decidere quando vuole di dare fine al governo togliendo la fiducia, è abbastanza prevedibile che nel momento in cui a Berlusconi non verranno in mente altri trucchi per finanziarsi la propria campagna elettorale a carico dello Stato, ci ritroveremo di nuovo matita in mano a eleggerlo.
E visto che le casse erariali non sono così generose, non credo che la durata media dei governi della Seconda Repubblica venga aumentata di molto.

Nell’immagine Grillo e Berlusconi in piena attività elettorale, mentre di Letta nessuna traccia.
Immagine di Josep Torta

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Google spinge sulla musica online in stile Spotify

E così pare che anche Google abbia deciso di scendere in campo in maniera ufficiale in competizione diretta con Spotify, Rdio e compagnia bella. Un altro bel colpo nei confronti di Myspace che probabilmente già soffre della concorrenza di Youtube con i suoi canali ufficiali di artisti e case discografiche. Che poi, in teoria, già esiste un Google Music. Qualcuno lo usa? Io non l’avevo mai sentito, finché non ho deciso di googlarlo.

Domani arriverà la notizia ufficiale al Google I/O.
C’è da chiedersi se tutta questa concorrenza si rivelerà un vantaggio per gli artisti che con la concorrenza tra i distributori di contenuti potranno avanzare pretese più alte relativamente ai compensi. Sul lato dei fruitori finali invece possiamo aspettarci un’accelerata relativamente al tasso di innovazione nel settore in termini di servizi offerti da parte dei distributori, soprattutto in termini di business model (che è la cosa più interessante soprattutto per i possibili riversamenti in altre industrie leggermente più in ombra come quella cinematografica e televisiva), e poi genericamente penso sia legittimo sperare in un abbassamento dei prezzi o (più probabile) un aumento dei servizi a parità di spesa.

Tante piccole startup soffocheranno di fronte alle capacità finanziarie di Google che probabilmente verranno impiegate per spingere fuori dal mercato chi dispone di meno liquidità. Se però invece Big G intende mantenersi in linea al suo motto «Don’t be evil» magari i player minori possono ancora sperare di farsi acquistare e farsi integrare in un servizio di maggiore respiro a Mountain View. Fare l’acquisizione delle startup dopo l’annuncio di entrare in campo spingerà di sicuro in giù i prezzi delle azioni.

Spotify forse farebbe bene a cercare la exit facendosi comprare da Facebook alla veloce finché vale ancora qualcosa, visto che secondo me ha maggiore complementarietà con FB che con Google, vista la forte integrazione social.
C’è poi ancora da capire come risponderà Apple all’ingresso di Google. A quanto pare non sta investendo molto sul suo iTunes Match.

Chiudo qui che mi metto a sistemare un po’ di playlist su Spotify. Chi mi volesse seguire mi trova a questo link.

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Spotify, Facebook … e Myspace

Facebook e Spotify fanno una bella coppia. Ciascuna parte gode di benefici nello stare con l’altra, così come è stato con la precedente accoppiata Facebook-Zynga. Zynga adesso è in difficoltà: nonostante FarmVille 2 abbia avuto un successo maggiore del previsto, Zynga soffre di alcuni problemi sistemici, ovvero lo scarso adattamento agli schermi piccoli dei device mobili e la disaffezione degli utenti nei confronti dei giochi senza pollice verde. Attualmente sopravvive grazie appunto all’agricoltura digitale e al poker virtuale. In fondo è una piattaforma che ancora può vantare un notevole numero di utenti attivi (230 milioni).
Ma non era di Zynga che volevo parlare. Torniamo a Spotify.
Spotify ha importato la musica nei social media (in FB) come neanche Myspace era riuscito prima. Adesso comunque anche il vecchio social network si sta attrezzando. Proprio mentre sto scrivendo sto ascoltando gli Eiffel65 dal player online di Myspace che ha tutta una grafica nuova molto più al passo coi tempi. Anzi, molto avanti, e fa bene, perché attualmente ha un vantaggio di appena un milione di utenti rispetto ai 24 milioni di Spotify (di cui il 25% paganti) e quindi sarebbe ora che si dia una mossa per soddisfare i fedelissimi che ancora popolano la sua piattaforma. Magari potrebbe anche iniziare a sviluppare una bella app per smartphone e offrire musica offline… Mi chiedo cosa aspettino.
Di fronte all’accoppiata comunque di FB e Spotify, Myspace a parte darsi una regolata alla svelta, deve decidere se sta dalla parte delle nicchie dei piccoli artisti o confrontarsi sul mainstream di Spotify e decidere come vuole fare soldi (ci sono molte opzioni al di fuori della pubblicità). Lo spazio c’è, ma (da amante di Spotify) temo che sarà difficile fare finta di niente, Facebook e Spotify fanno proprio una bella coppia.

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Spunti in stile “Blue Ocean strategy” nel mercato dei corsi per bambini

Sullo spunto di questo articolo su Wired.it relativo a dei laboratori di robotica per bambini dai 5 ai 14 anni a Brescia mi viene in mente che ci sono un sacco di opportunità imprenditoriali là fuori per quanto riguarda i corsi pomeridiani per bambini. Siamo, infatti, abituati a considerare che un bambino al di fuori della scuola abbia principalmente due opzioni – sport o arte – per sviluppare delle competenze complementari a quello che impara a scuola.
Mi pare che ci sia una sorta di limitazione culturale nel ritenere opportuno che la mattina i bambini abbiano da imparare quello che sarà loro utile nel loro futuro professionale, mentre nel pomeriggio ci si debba concentrare sugli hobby che non hanno sbocchi professionali (nel 99,9% dei casi) come sport e arte. Al massimo le lingue. Non è comune sentire che un bambino venga mandato a un corso di programmazione, robotica, design, animazione, falegnameria o chissà cos’altro.
Non credo che per i bambini sia tanto diverso andare a un corso per imparare a suonare uno strumento piuttosto che per imparare a creare un sito web. Per esperienza personale diretta o indiretta, credo che quello che motivi un bambino a perseguire un hobby (se escludiamo la coercizione dei genitori) non sia tanto il contenuto del corso, quanto le modalità di insegnamento e l’identità dell’insegnante. Una volta capito il trucco di come far piacere un’attività a un bambino, non c’è limite a quello che gli si potrebbe insegnare.
Secondo me il mercato c’è. Ci sono alcuni fattori da tenere in considerazione come le offerte sostitutive come appunto sport, strumenti musicali, danza e teatro, lingue, ripetizioni, e catechismo, giusto per citarne alcuni, così come il fatto che i bambini, soprattutto in certe fasi tendano a voler fare quello che fanno gli altri. Ciononostante, non vedo maggiori rischi nell’imparare a maneggiare chiodi e martello per un bambino che a fare arti marziali, così come l’upfront investment per un laboratorio non può poi essere tanto più alto di un palazzetto dello sport.
Se poi consideriamo il grado di preparazione che offrono le scuole per quanto riguarda gli sbocchi professionali…

L’immagine l’ho presa dall’articolo di Wired.it.

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http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/HUh2E9Dkxfg/spunti-in-stile-blue-ocean-strategy-nel.html

Sul diritto di proprietà e la legittimità dell’IMU

L’IMU è una tassa giusta a livello ideologico, IMHO. Va corretta, attualizzata, adattata, ma di base è una tassa che deve rimanere. Il concetto ideologico su cui si basa il mio ragionamento è relativo al diritto di proprietà del suolo.
Se guardiamo l’Italia dall’alto, lo Stilvale è nostro. Ciascuno di noi è italiano e a ciascuno di noi quel territorio appartiene. Nessuno si sognerebbe di dire che le Dolomiti gli appartengono, così come nessuno si sognerebbe di dire che gli appartiene il Lago di Garda, l’Etna, o l’Isola d’Elba. Se però ci pensiamo bene, ad eccezione dei terreni demaniali, non c’è spazio che non sia di proprietà privata. Ogni metro quadrato mostrato dalle immagini del satellite è di proprietà di qualche singolo individuo. E dunque a cosa ci riferiamo quando parliamo del “mio Paese”. Non c’è nulla di tuo se non un’irrilevante porzione di quel territorio. Com’è che una persona qualsiasi, addirittura senza neanche l’esclusiva della cittadinanza italiana, possa rivendicare la completa e assoluta negazione di alcun beneficio ad altri nei confronti di una porzione di territorio nazionale? Concettualmente, cosa rende diversa l’estensione territoriale su una collina rispetto a quella di un lago? Eppure l’una è privatizzata, l’altro no.
La logica che ci sta dietro è limpida e lineare e nessuno se la sente di discuterla: se non è di valore strategico per la Nazione, non c’è motivo di limitare il diritto costituzionale dell’individuo alla proprietà privata, base e motore di crescita economica e ricchezza diffusa. Il principio però reggerebbe anche se noi anziché chiamarla proprietà privata (attenzione, mi riferisco solo agli immobili terrieri) la chiamassimo diritto all’usufrutto del terreno. A differenza del diritto di usufrutto che abbiamo oggi, basterebbe consentire al detentore di poterne cambiare l’indirizzo d’uso (nei limiti che comunque vengono posti comunque anche alla proprietà privata di oggi) così come dargli la libertà di cederlo a terzi secondo le sue condizioni. In pratica, uguale al diritto di proprietà, ma in teoria connotato dal principio che il territorio nazionale è di tutti. La Terra è di tutti e la sua tutela è prioritariamente orientata secondo il bene comune. Se lo osserviamo a livello satellitare tutti d’accordo, se lo osserviamo al piano terra un po’ meno. In un ottica del genere, di fatto comunista, sarebbe legittimo chiedere una sorta di tassa d’affitto per il terreno. Un’IMU.
Non serve sottolineare la puzza che accompagna il termine comunismo. Io per primo storco il naso. E da liberista che mi reputo, nulla dovrebbe interferire con il libero scambio dei beni, ma a livello di principio nulla ci impedisce di rivedere in ottica comunitaria il senso della proprietà privata di beni immobili, e accettare che una parte dei frutti di questo terreno che possediamo vada reinvestito a livello nazionale come indennizzo verso i concittadini per il fatto che su alcuni prati, pur appartenendo a tutti a livello satellitare, non ci si possa andare, e che di alcuni campi non se ne possano beneficiare gratuitamente dei frutti.
Sull’ammontare di questa tassa di usufrutto poi ovviamente c’è da discutere. In termini di principio anche un importo simbolico potrebbe funzionare, purché si riconosca che la Terra è una e così pure il territorio nazionale di ogni singolo paese è finito e di tutti i cittadini.
Che poi Berlusconi la pensi diversamente da come la pensi io non mi sorprende, ma pensavo che come concetto era bello condividerlo e sentire il parere di altri.

Immagine tratta dal commons di Wikimedia.

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http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/sImJ9PSWxFA/sul-diritto-di-proprieta-e-la.html

Sul diritto di proprietà e la legittimità dell’IMU

L’IMU è una tassa giusta a livello ideologico, IMHO. Va corretta, attualizzata, adattata, ma di base è una tassa che deve rimanere. Il concetto ideologico su cui si basa il mio ragionamento è relativo al diritto di proprietà del suolo.
Se guardiamo l’Italia dall’alto, lo Stilvale è nostro. Ciascuno di noi è italiano e a ciascuno di noi quel territorio appartiene. Nessuno si sognerebbe di dire che le Dolomiti gli appartengono, così come nessuno si sognerebbe di dire che gli appartiene il Lago di Garda, l’Etna, o l’Isola d’Elba. Se però ci pensiamo bene, ad eccezione dei terreni demaniali, non c’è spazio che non sia di proprietà privata. Ogni metro quadrato mostrato dalle immagini del satellite è di proprietà di qualche singolo individuo. E dunque a cosa ci riferiamo quando parliamo del “mio Paese”. Non c’è nulla di tuo se non un’irrilevante porzione di quel territorio. Com’è che una persona qualsiasi, addirittura senza neanche l’esclusiva della cittadinanza italiana, possa rivendicare la completa e assoluta negazione di alcun beneficio ad altri nei confronti di una porzione di territorio nazionale? Concettualmente, cosa rende diversa l’estensione territoriale su una collina rispetto a quella di un lago? Eppure l’una è privatizzata, l’altro no.
La logica che ci sta dietro è limpida e lineare e nessuno se la sente di discuterla: se non è di valore strategico per la Nazione, non c’è motivo di limitare il diritto costituzionale dell’individuo alla proprietà privata, base e motore di crescita economica e ricchezza diffusa. Il principio però reggerebbe anche se noi anziché chiamarla proprietà privata (attenzione, mi riferisco solo agli immobili terrieri) la chiamassimo diritto all’usufrutto del terreno. A differenza del diritto di usufrutto che abbiamo oggi, basterebbe consentire al detentore di poterne cambiare l’indirizzo d’uso (nei limiti che comunque vengono posti comunque anche alla proprietà privata di oggi) così come dargli la libertà di cederlo a terzi secondo le sue condizioni. In pratica, uguale al diritto di proprietà, ma in teoria connotato dal principio che il territorio nazionale è di tutti. La Terra è di tutti e la sua tutela è prioritariamente orientata secondo il bene comune. Se lo osserviamo a livello satellitare tutti d’accordo, se lo osserviamo al piano terra un po’ meno. In un ottica del genere, di fatto comunista, sarebbe legittimo chiedere una sorta di tassa d’affitto per il terreno. Un’IMU.
Non serve sottolineare la puzza che accompagna il termine comunismo. Io per primo storco il naso. E da liberista che mi reputo, nulla dovrebbe interferire con il libero scambio dei beni, ma a livello di principio nulla ci impedisce di rivedere in ottica comunitaria il senso della proprietà privata di beni immobili, e accettare che una parte dei frutti di questo terreno che possediamo vada reinvestito a livello nazionale come indennizzo verso i concittadini per il fatto che su alcuni prati, pur appartenendo a tutti a livello satellitare, non ci si possa andare, e che di alcuni campi non se ne possano beneficiare gratuitamente dei frutti.
Sull’ammontare di questa tassa di usufrutto poi ovviamente c’è da discutere. In termini di principio anche un importo simbolico potrebbe funzionare, purché si riconosca che la Terra è una e così pure il territorio nazionale di ogni singolo paese è finito e di tutti i cittadini.
Che poi Berlusconi la pensi diversamente da come la pensi io non mi sorprende, ma pensavo che come concetto era bello condividerlo e sentire il parere di altri.

Immagine tratta dal commons di Wikimedia.

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Proposta per una riforma dei rimborsi elettorali

Più ci penso e più ritengo che i rimborsi elettorali non sono poi un male da eradicare in maniera completa. Sono un incentivo che permette anche ai piccoli partiti di promuovere idee nuove che non vengono contemplate dai leader. Attualmente, per quello che ne so, i nuovi partiti non beneficiano dei rimborsi. Questo ovviamente rafforza chi già è sulla scena e impedisce il ricambio di idee e di persone, perché i nuovi schieramenti, per beneficiare del minimo di visibilità mediatica devono pagare tutto di tasca loro e se nessuno li conosce (essendo nuovi) faranno un’enorme fatica a raccogliere fondi.

La soluzione migliore, secondo me, sarebbe che ogni partito riceva un rimborso pari al 50% delle sue spese e che non superi i due milioni di Euro complessivamente. Significa che se spende complessivamente 2 milioni, ne riceverà 1 indietro, se invece ne spende 5, gliene verranno rimborsati solo 2 (e non 2,5). Il resto che non viene coperto dal rimborso dovrà essere finanziato attraverso donazioni o altre fonti.

Ci sono tre trucchi che mi vengono in mente che applicherei se fossi un criminale (perché è così che bisogna ragionare quando si parla di soldi pubblici):

  • Il primo è di spendere i soldi pubblici in attività che giovino me o mie conoscenze/parentele come appaltando alcuni servizi ad aziende “amiche”.
  • Il secondo è simile e consiste nello spendere il rimborso a vantaggio di chi mi finanzia in forma privata. Se l’azienda X mi dà 1 milione e io poi “restituisco” il milione facendo un acquisto di pari importo all’azienda (perché intanto avrò ricevuto anche un milione da altre fonti), l’azienda in quanto donatrice potrà dedurre il milione dalle tasse ma lo riceve in cash in cambio di una consulenza o un servizio di altro genere.
  • Il terzo (per superare la soglia dei 2 milioni) è creare più partiti tutti a sostegno della stessa lista/coalizione, così da avere un rimborso per ciascun sotto-partito pari a 2 milioni, ma che di fatto viene a vantaggio di un unico ente politico.

Nei primi due casi ci sono delle ricadute di immagine. Se gli elettori venissero a sapere che le loro donazioni vengono usate per scopi non in linea con le loro aspettative, sarà difficile che alle prossime elezioni sostengano lo stesso partito. I rimborsi elettorali “rubati” adesso all’erario non hanno lo stesso impatto emotivo delle donazioni sprecate prese dagli elettori.
Nel terzo caso, non credo basterebbe vietare il doppio senso di marcia dei soldi, perché per superare l’ostacolo basterebbe triangolare tramite un fornitore del donatore. Togliere la detraibilità fiscale delle donazioni non mi pare neanche un’opzione. Consigli?

(Ovviamente la porzione del rimborso può essere diversa dal 50%. Uso il numero solo a titolo esemplificativo.)

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Un panorama politico nuovo

So che è un desiderio di impossibile applicazione, ma spesso mi auguro che tutti i partiti attualmente in Parlamento smettano di esserci. Non nel senso grillino che poi tutto vada in mano a quei quattro o cinque elettori che non hanno abbastanza da fare da stare a votare ogni bazzecola su un qualche portale online. I partiti trovo che restino fondamentali per un sano dialogo politico.

Quello che ci vorrebbe sono campagne elettorali come si deve: un confronto tra le personalità e i programmi che costituiscono ogni partito.

Così poi nessuno potrà nascondersi dietro a motivi del tipo perché lo facevano i loro genitori, o perché il partito invitava quel gruppettino musicale tanto carino alle feste in piazza, o perché ripubblica i manifestini di attività proposte da qualche associazione culturale non schierata su FB, o perché ormai io-sono-un-elettore-di-XY-caschi-il-mondo, o perché odio i comunisti. Tutti questi elettori cui pare sia stato asportato il cervello si troveranno dover a confrontare i veri programmi, le vere competenze di chi guida i partiti perché non ci sono più i vecchi simboli e i vecchi nomi.

Se togliessimo dal vocabolario politico i termini destra/centro/sinistra, probabilmente metà degli elettori dovrebbe rivedere le sue idee perché questa (falsa) semplificazione li ha prosciugati di ogni capacità critica.

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/Pw0gsWHEtSk/un-panorama-politico-nuovo.html

FiD dimostra forza e coerenza accettando le dimissioni di Giannino

Le dimissioni (accettate) di Oscar Giannino sono un’ulteriore conferma del valore di Fare per Fermare il Declino. Quello che conta sono il programma (a mio parere il più solido in termini di proposte, soluzioni e critiche, al di là degli ideologismi) e le competenze (senza le quali un programma del genere non si sarebbe potuto fare). La gaffe di Giannino riguardo al suo curriculum, pur insignificante di fronte alle bugie e malefatte alle quali siamo stati abituati dai soliti mediaticamente rilevanti, è stata spianata attraverso il gesto di Giannino. Cambia qualcosa? No; il programma è sempre lo stesso e le capacità del resto del team ovviamente pure. Al contrario, penso che la maniera in cui è stata gestita la questione mostra l’attaccamento ai valori professati da FiD.

Restano due interrogativi, che comunque non dovrebbero influenzare la scelta di voto di chi pensa criticamente, ovvero se Zingales rientrerà nel partito, e perché Zingales ha sollevato la questione in questa maniera, quando si poteva tranquillamente risolvere il problema internamente. La mia idea è che nel timore di raccogliere pochi voti, volesse togliersi dal carro del perdente in tempo (magari per salire su quello altrui dopo le elezioni). Intanto, tanto di cappello a Giannino che si è ritirato e al resto del partito che con coerenza con quello fatto finora si rimbocca le maniche e si dà da fare per continuare a Fare.

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/5exjvRa6wKc/fid-dimostra-forza-e-coerenza.html

FiD dimostra forza e coerenza accettando le dimissioni di Giannino

Le dimissioni (accettate) di Oscar Giannino sono un’ulteriore conferma del valore di Fare per Fermare il Declino. Quello che conta sono il programma (a mio parere il più solido in termini di proposte, soluzioni e critiche, al di là degli ideologismi) e le competenze (senza le quali un programma del genere non si sarebbe potuto fare). La gaffe di Giannino riguardo al suo curriculum, pur insignificante di fronte alle bugie e malefatte alle quali siamo stati abituati dai soliti mediaticamente rilevanti, è stata spianata attraverso il gesto di Giannino. Cambia qualcosa? No; il programma è sempre lo stesso e le capacità del resto del team ovviamente pure. Al contrario, penso che la maniera in cui è stata gestita la questione mostra l’attaccamento ai valori professati da FiD.

Restano due interrogativi, che comunque non dovrebbero influenzare la scelta di voto di chi pensa criticamente, ovvero se Zingales rientrerà nel partito, e perché Zingales ha sollevato la questione in questa maniera, quando si poteva tranquillamente risolvere il problema internamente. La mia idea è che nel timore di raccogliere pochi voti, volesse togliersi dal carro del perdente in tempo (magari per salire su quello altrui dopo le elezioni). Intanto, tanto di cappello a Giannino che si è ritirato e al resto del partito che con coerenza con quello fatto finora si rimbocca le maniche e si dà da fare per continuare a Fare.

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Chi vuole Fare non si ferma alle apparenze

Finalmente riesco a imbastire un post a riguardo di Fare per Fermare il Declino, sul quale si è riversata la mia stima e speranza di fronte all’annacquamento di Monti e le manovre di Montezemolo.
Mai mi sono sentito così rappresentato e paradossalmente, mai credo di aver scritto così poco del partito per cui tifo alle elezioni.

L’occasione di tanto nasce da un recente articolo di Sallusti su ilGiornale.it in cui attacca Giannino, scrivendo: «Fare per fermare il declino, partito fondato da Oscar Giannino, ha riacceso speranze in quel mondo [liberale, ndb], ma sta naufragando sul campo (lo dicono i sondaggi) sotto il peso della megalomania del suo leader».

Posso comprendere chi critica la scelta di candidare Giannino per il partito perché è un personaggio un po’ troppo eccentrico per gli standard. Al contempo penso che la scelta possa essere neanche troppo stupida tenuto conto che di fronte al risicato (e autofinanziato) budget per la campagna elettorale forse vale la pena scegliere un frontman che sappia attirare l’attenzione. Del resto la scelta di gente in gamba non manca all’interno del partito per quello che ho visto alla presentazione che è stata fatta della lista candidata in Lombardia.
In termini di voti comunque penso che la critica dell’eccessiva eccentricità del candidato premier, pur avendola sentita da più persone con cui mi sono confrontato, sia un fattore senza effetto in termini di voti. La gente che ha il coraggio di prendere in considerazione di votare un partito dichiaratamente liberista dopo l’immagine che Berlusconi è riuscito ad affibbiare alle idee etichettare come di destra penso che sia fin troppo intelligente per tenere in conto il modo di tagliarsi i baffi di chi andrà a votare. Mi piace pensare che chi vota Fare sia gente che capisca (non solo conosca) il concetto di meritocrazia e che la sappia poi anche applicare nel suo piccolo. Gente che sa ragionare con la sua testa e non si fa frenare dalle apparenze.

Se Sallusti sinceramente teme che l’immagine di Giannino sia poco adatta a rappresentare il sogno liberale italiano, probabilmente ne capisce troppo poco e fa bene a rimanere tra le fila dei berlusconiani.

Qui il programma elettorale di Fare per Fermare il Declino per chi fosse interessato.

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/FwmSQxJW6uQ/chi-vuole-fare-non-si-ferma-alle.html

Chi vuole Fare non si ferma alle apparenze

Finalmente riesco a imbastire un post a riguardo di Fare per Fermare il Declino, sul quale si è riversata la mia stima e speranza di fronte all’annacquamento di Monti e le manovre di Montezemolo.
Mai mi sono sentito così rappresentato e paradossalmente, mai credo di aver scritto così poco del partito per cui tifo alle elezioni.

L’occasione di tanto nasce da un recente articolo di Sallusti su ilGiornale.it in cui attacca Giannino, scrivendo: «Fare per fermare il declino, partito fondato da Oscar Giannino, ha riacceso speranze in quel mondo [liberale, ndb], ma sta naufragando sul campo (lo dicono i sondaggi) sotto il peso della megalomania del suo leader».

Posso comprendere chi critica la scelta di candidare Giannino per il partito perché è un personaggio un po’ troppo eccentrico per gli standard. Al contempo penso che la scelta possa essere neanche troppo stupida tenuto conto che di fronte al risicato (e autofinanziato) budget per la campagna elettorale forse vale la pena scegliere un frontman che sappia attirare l’attenzione. Del resto la scelta di gente in gamba non manca all’interno del partito per quello che ho visto alla presentazione che è stata fatta della lista candidata in Lombardia.
In termini di voti comunque penso che la critica dell’eccessiva eccentricità del candidato premier, pur avendola sentita da più persone con cui mi sono confrontato, sia un fattore senza effetto in termini di voti. La gente che ha il coraggio di prendere in considerazione di votare un partito dichiaratamente liberista dopo l’immagine che Berlusconi è riuscito ad affibbiare alle idee etichettare come di destra penso che sia fin troppo intelligente per tenere in conto il modo di tagliarsi i baffi di chi andrà a votare. Mi piace pensare che chi vota Fare sia gente che capisca (non solo conosca) il concetto di meritocrazia e che la sappia poi anche applicare nel suo piccolo. Gente che sa ragionare con la sua testa e non si fa frenare dalle apparenze.

Se Sallusti sinceramente teme che l’immagine di Giannino sia poco adatta a rappresentare il sogno liberale italiano, probabilmente ne capisce troppo poco e fa bene a rimanere tra le fila dei berlusconiani.

Qui il programma elettorale di Fare per Fermare il Declino per chi fosse interessato.

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Essere d’accordo non basta

L’ho detto e lo ribadisco: a me Italia Futura piace. Ma ho anche sempre pensato che ci sono cose che non vanno bene. Quella che più mi infastidisce è la scarsa concretezza degli appelli. Ripubblico sotto l’ultima newsletter che mi è arrivata.

Magari avrete la mia stessa impressione leggendo: si parte con un appello esaltante che ti fa sperare in una proposta, in un cambiamento, in un’azione. Invece il tutto si conclude con l’invito a firmare il manifesto. Già. Il prossimo passo sarà chiedere di condividere una foto sulla propria bacheca Facebook per fermare la fame nel mondo.
Tipicamente, terminato il discorso di incitamento che si fa prima di scendere sul campo di battaglia, si scende sul campo di battaglia. Si urla, si grida, si sguainano le spade e poi ci si lancia sul nemico a spargere il suo sangue. Non si firma un manifesto. Se questa è la flemma con cui si riformare l’intero sistema…

Cara amica, caro amico,
milioni di cittadini guardano con forte preoccupazione all’assenza di un’offerta alternativa in grado di rappresentare chi ritiene che le riforme di cui il paese ha bisogno siano di segno esattamente opposto rispetto a quanto proposto da una sinistra tornata alle ricette dello statalismo più tradizionale e da una destra populista che ha predicato la rivoluzione liberale moltiplicando invece sprechi e abusi di una classe dirigente impresentabile
Sono quegli italiani che ritengono sia arrivata l’ora per lo Stato di fare la sua parte in termini di sacrifici e che la pressione fiscale non possa in nessun modo e per nessuna ragione essere aumentata. Quella parte del Paese che vuole un sistema di welfare più orientato alla crescita e contratti che premino la produttività
Un duello tra un’Unione 2.0 e una Forza Italia 2.0 ci riporterebbe nel pieno della Seconda Repubblica. E non siamo affatto sicuri che la maggioranza degli italiani non veda l’ora di assistere al confronto tra Bersani e Berlusconi.
L’Italia ha bisogno di un fronte della responsabilità, di un movimento popolare, liberale e riformista che, nel solco di quanto iniziato dal Governo Monti, metta insieme la società civile disposta a impegnarsi e la politica che accetti la sfida della responsabilità e del rinnovamento.
Contro i populismi di destra e di sinistra, verso la Terza Repubblica.
Firma il manifesto Verso la Terza Repubblica   
Grazie,
Italia Futura

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Chi ha orecchie per intendere gli elettori intenda

Nonostante lo sport nazionale resti criticare tutto, in generale credo che a conclusione di questo giro di elezioni per il centro sinistra tanto male non sia andata. Si poteva fare meglio, ma quello dipendeva dai candidati. La mia personale opinioni sulle primarie è che dovrebbero essere una roba abbastanza informale. Mi rendo conto che se non si trattasse di una vera e propria elezione, in pochi andrebbero a esprimere il proprio parere, ma al contempo credo che è nell’interesse del partito recepire e accogliere il sentire dei propri elettori. Ecco perché non ho voluto interessarmi della fondatezza delle critiche di Renzi al sistema e alle regole di questo giro. Alla luce di questo, mi stupisce della complessità del voto. Perché non è possibile di votare online anche ai residenti in Italia? Io ho votato entrambi i giri online dall’estero. Non mi sono stati chiesti i 2€ nessuna delle due volte. La coda non l’ho fatta. Niente certificati elettorali. Così mi sono stupito a leggere che in certe città estere ci fossero dei seggi. Perché mai si dovrebbe far lavorare della gente quando si potrebbe fare la stessa cosa, offrendo un servizio più comodo, lasciando che si stia tutti a casa – volontari ed elettori? Non credo che il sistema possa funzionare per le elezioni nazionali (non ancora, almeno), ma per le primarie mi pare che funzioni benissimo. A questo punto i partiti potrebbero rivolgersi agli elettori anche con maggior frequenza per vedere come la pensano su certe cose, trovando un buon compromesso tra spam e democrazia semi-diretta.

Comunque mi pare che si possa essere soddisfatti di come sono andate le cose. Poteva andare anche molto peggio. Basta guardare a cosa fanno gli altri…

Adesso il PD si ritrova con un sacco di informazioni su quello che preferisce la gente. Sono sicuro che Bersani, pur avendo vinto, sappia riconoscere e valorizzare le posizioni che rappresentavano gli altri candidati. Ad esempio, forse gli elettori di sinistra sono in maggioranza non così di sinistra come si pensava. Non era poi così scontato che Renzi arrivasse in finale e che Vendola facesse così poco. Insomma, chi ha orecchie per intendere intenda.

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