A lezione dagli apicoltori: Perdita della biodiversità e rischi sulla nostra alimentazione

Le api, le farfalle, le vespe, i coleotteri, i pipistrelli, le mosche e i colibrì che distribuiscono il polline, vitale per la riproduzione di oltre il 75% delle colture alimentari, stanno visibilmente diminuendo in tutto il mondo, ma poco si sa delle conseguenze per le popolazioni umane e quelle animali. La riduzione degli impollinatori potrebbe innescare un effetto domino su grande scala negli ecosistemi della Terra. Uno studio pubblicato di recente su Nature Ecology & Evolution (Lynn V. Dicks et Al. “A global-scale expert assessment of drivers and risks associated with pollinators decline” Nature, Ecology and Evolution 16/8/2021), indica almeno quattro cause che determinano il continuo declino degli impollinatori:
1.Distruzione dell’ambiente (inteso come ecosistema) in cui gli impollinatori vivono,
2.Declino della possibilità d’intervento nella gestione del territorio, che vede una riduzione dei pascoli e aumento delle monoculture,
3.L’uso diffuso dei pesticidi,
4.I cambiamenti climatici costanti, sebbene ancora oggi i dati siano limitati.
Un esempio recente è l’attenzione sull’importanza delle falene, le famose farfalle notturne, che sembra siano le migliori impollinatrici del globo. Le luci artificiali e i pesticidi le stanno rendendo sempre più rare (come le lucciole delle notti di alcuni decenni fa). Le trappole visive all’ultravioletto per catturare le zanzare e i pappataci attirano queste sventurate farfalle insieme alle nuove luci a led (in particolare, sembra, quelle a emissioni bianche). Molte piante che sono fecondabili solo nelle ore notturne (le more e altre piante di bosco) ed altre che emettono nettari nel periodo crepuscolare, risultano così a maggior rischio di mancanza di impollinazione.
Circa i due terzi della Terra dipendono dalla impollinazione delle culture e le oscillazioni della resa dei raccolti sono peggiorate dai nuovi episodi climatici. Ciò è ancora più marcato tra i piccoli produttori agricoli, inducendo incertezza nel loro futuro.
L’impollinazione naturale, secondo un rapporto del 2016, aveva raggiunto un incremento del 300% sulla produzione alimentare nel giro di cinquant’anni. Ecco una misura del peso degli impollinatori e del loro valore nella nostra alimentazione, sia essa diretta o indiretta, come per esempio nella produzione di biocombustibili.
Anche l’uso degli impollinatori con alveari industriali, come avviene da anni nel continente nordamericano per la produzione di mandorle e mele, ha subito un forte declino per malattie indotte dalla Varroa e dall’impiego di neonicotinoidi, tra le più sospette cause di Colony Collapse Disorder (in sigla CCD), un grave disturbo neurologico delle api che sembrano non ricordare più la via del rientro in alveare. Una specie di invecchiamento precoce del sistema nervoso, in certi casi paragonato al nostro morbo di Alzheimer.
Dove è maggiore l’uso alimentare di piante selvatiche (Africa, America Meridionale e Asia) questa riduzione degli impollinatori si riflette sulle economie rurali. Cibi selvatici o spontanei, in uso da secoli e diventati di uso tradizionale, verso i quali dovremmo porre maggiore attenzione per le fonti nutrizionali, potrebbero ridursi o, a lungo termine, scomparire in quelle aree. L’impatto del declino degli impollinatori su piante e frutti selvatici è stato visto come un rischio serio in Africa, Asia-Pacifico e America Latina – regioni con molti Paesi a basso reddito, dove le popolazioni rurali si affidano a cibi selvatici. Ma anche grandi Stati, come Cina e India, che dipendono sempre più da frutta e verdure nella loro dieta, potrebbero avere contraccolpi gravi; in alcuni casi si è iniziato a impollinare manualmente e a sviluppare sempre più piante autofertili che spesso sono meno produttive.
Ma in Europa?
Dalle prove sul campo il declino degli impollinatori è visibile: almeno il 37% delle api e il 31% delle farfalle sembra sparito. Ciò potrebbe compromettere alcune colture come le fragole o la colza in maniera marcata, ma non solo. L’impatto sull’economia della scomparsa così massiccia di impollinatori è ancora da comprendere: certo la perdita della biodiversità sembra passare in secondo piano rispetto alle brusche variazioni climatiche. Ma entrambe le cause potrebbero riflettersi a breve sulla nostra vita.
Che ruolo hanno gli apicoltori nei confronti di questa veloce perdita della biodiversità?
“Smettete di tagliare il prato, non pavimentate il vialetto e abituatevi agli insetti nell’insalata” è la sintetica frase di un articolo apparso su THE CONVERSATION, un quotidiano on line rigorosamente britannico, scritto dalla dottoressa S. Maderson, dell’Aberystwyth University.  È un articolo interessante perché mostra come gli apicoltori mostrino atteggiamenti molto positivi per la protezione della biodiversità e siano prudenti nella visione utilitaristica del “verde è bello”.
Quali sono i punti salienti che un apicoltore mostra di perseguire e promuovere?
•Di essere “disordinati” nel proprio giardino
•Di essere capaci nel comprendere meglio il posto in cui vivono
•Di essere focalizzati nella conoscenza di nuove materie
•Di pensare globalmente ma agire localmente.
Il “giardino” dell’apicoltore mostra che il suo punto di vista è quello dell’ape: “Gli apicoltori riconoscono che un giardino disordinato è un paradiso per la fauna selvatica e consigliano di lasciare un po’ di disordine nei nostri spazi esterni. Alcuni apicoltori mi hanno detto che hanno smesso del tutto di tagliare il prato” scrive la ricercatrice. Sono perfettamente d’accordo! Anche l’origine delle piante da portare nel proprio giardino può fare la differenza, poiché alcune sono trattate con potenti antiparassitari prima della vendita, per allungarne la vita sulla spalliera del supermarket. Idem per la plastificazione del giardino con erba o siepi sintetiche: l’apicoltore permette la crescita di piante spontanee e siepi che foraggino gli insetti, attirando così anche i loro predatori, in un cerchio naturale. Alcune osservazioni scientifiche mostrano comportamenti delle piante selvatiche differenti da quelle ingentilite dall’uomo; basta guardare i video sulle ricerche del professor Stefano Mancuso dell’Università di Firenze disponibili in rete (un esempio potrebbe essere https://www.youtube.com/watch?v=B3PF98Zyy5A ).
Il legame dell’apicoltore con il posto in cui vive o conduce le api è un’altra sua visione naturale: se conosce il posto da anni, sa il suo ciclo vitale, rafforzando il rapporto con esso, “sentendo” il luogo come parte di sè. I fenomeni, soprattutto quelli legati al ciclo stagionale, incominciano ad essere più evidenti. Si osserva in tal modo che alcune fioriture cambiano la loro tempistica, diventando più o meno prolungate, o che piante una volta presenti incominciano a essere soppiantate da altre. Certo, non occorre essere un apicoltore per notare ciò, ma “pensare come pensa un’ape” rende più sensibili ai nostri occhi questi cambiamenti. L’apicoltore ama la natura in cui vive l’ape e cerca di approfondirne le conoscenze pratiche, anche a costo di prendere in mano testi, siano essi di botanica o di agricoltura biodinamica: non si finisce d’imparare con la natura. Alcuni approfondiscono le conoscenze di apiterapia, partecipano a webinar, a corsi collaterali alle loro esperienze quotidiane. La cultura apre l’orizzonte ad altre osservazioni: molte specie di api sono solitarie e hanno una gamma di foraggiamento più piccola. Comprendere le esigenze delle diverse specie può aiutare a far sì che l’ambiente sia sano per tutti gli impollinatori, non solo per le api. Aggiornare le proprie competenze permette di “vedere lungo”, sentire e comprendere che esistono alternative e cercarle. Tenere la mente aperta offre una soluzione al nostro modo di vivere l’oggi con prospettive future. Oltre che rallentare l’invecchiamento del nostro caro cervello!
L’osservazione della vita delle api permette di essere maggiormente critici verso molti luoghi comuni: la dieta, intesa come modo di vita, ne viene scossa. “Se vogliamo vivere in un mondo che è buono per gli impollinatori, così come il resto di noi, sono necessari grandi cambiamenti nel nostro ambiente, e il nostro sistema alimentare. Questo è il motivo per cui molti apicoltori cambiano la loro dieta e la loro spesa, mangiando più verdure coltivate localmente che non sono trattate con pesticidi”. Semplice osservazione della ricercatrice, che permette di modificare ciò che siamo: “noi siamo ciò che mangiamo” scriveva Feuerbach nel 1800.

apiario integrato MarosticaQuesti lenti cambiamenti (mangiare non è come prendere una medicina) portano a sopportare la presenza di un piccolo insetto nella verdura o nella frutta, nel vedere una foglia di insalata o di bietola mangiucchiata da qualche affamato predatore, cambiando la propensione alla spesa alimentare più naturale.
Una esperienza molto gratificante è provare a entrare e rimanere qualche decina di minuti in un bell’APIARIO OLISTICO, una “casetta” dove provare a sentire i profumi e le vibrazioni delle api in piena sicurezza, godendo della visione della loro infaticabile vita sociale. La comprensione che se l’insetto è vitale lo siamo anche noi, ci deve permettere di entrare nell’armonia della natura.

Piero Milella
Gruppo Api&Benessere di WBA onlus www.apiebenessere.com

Vai articolo originale: https://www.giornaledelgarda.info/a-lezione-dagli-apicoltori-perdita-della-biodiversita-e-rischi-sulla-nostra-alimentazione/

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