L’Italia del futuro

Stavo leggendo la newsletter di ItaliaFutura e il loro manifesto Cantiere Italia 2013.
Premesso che mi trovo d’accordo su buona parte delle affermazioni, soprattutto nell’analisi del presente politico nella mail, volevo soffermarmi un attimo sugli obiettivi a lungo termine per un radicale cambiamento strategico delle istituzioni del Paese. Destra e sinistra propongono varie ricette per riparare i problemi alla nave Italia (il centro mi pare che non proponga nulla di concreto, ma magari mi sbaglio).  Ho come l’impressione che Italia Futura si stia ponendo, nonostante lo sforzo nel distinguersi, su un piano simile ai vecchi partiti. Mi si perdoni il riferimento alla sfera navale, visti i tempi recenti, ma il riferimento non sta in quelle faccende, quanto più alla similitudine in sé.

Se l’Italia è una nave prossima all’inabissarsi a causa dello scafo bucato, vedo la destra che propone di buttare a mare chi meno è utile alla salvezza della società purché alleggerendo la nave qualcuno si salvi. La sinistra invece, tenendo saldi i suoi valori, non permette che si butti a mare nessuno, ignorando che così facendo di lì a poco annegheranno tutti indiscriminatamente. E intanto che si discute su come reagire all’emergenza ovviamente la nave non torna a galla da sola. Appunto per questo, la mia opinione è che nessuna delle due prospettive abbia vita lunga.

Anziché cercare di riparare la falla, perché non trasformare la nave in un sommergibile? A lungo termine il nostro stile di vita aggregato ha già dimostrato di essere insostenibile (come mondo occidentale, oggi guidato dall’esempio tedesco), eppure su entrambi gli schieramenti politici si discute su come prolungare questo modello di crescita e sviluppo nel quale non abbiamo tra l’altro mai eccelso. Non è forse il momento di cambiare rotta e orientarsi diversamente? Forse è il caso di riflettere su un nuovo modello sociale strategico. I paesi del Nord (scandinavi per lo più) c’hanno provato e alla prova dei fatti mi sembra che abbiano trovato la loro strada. Una strada non incentrata su consumi alti, produzione industriale, occupazione totale ecc, ma su modelli orientati al risparmio delle risorse energetiche, all’inclusione sociale e al benessere individuale come corollario del benessere comunitario.
L’Italia potrebbe forse lanciare un nuovo modello valido per i paesi mediterranei, dal Portogallo alla Grecia. In termini di risorse ne abbiamo più dei paesi del Nord. Abbiamo un clima, una terra, una conoscenza nelle scienze umanistiche, una cultura e un patrimonio artistico che non ha eguali probabilmente in tutto il mondo. Perché allora dobbiamo intestardirci a primeggiare sul piano industriale? Lasciamo che la Fiat vada in Polonia e rilanciamo non solo una nuova economia, ma un nuovo stile di vita.

Le riforme strutturali di lungo respiro di cui necessitiamo non sono in realtà una nuova legge elettorale o il federalismo fiscale. Discutere sulla legge elettorale significa decidere come decidere. Temo che per queste formalità (conoscendo le lungaggini parlamentari) non ci sia più tempo, a meno che non si decidano nel giro di pochi mesi. Quello che ci serve prioritariamente entro l’anno prossimo è un confronto per migliorare la sostanza. Cosa vogliamo essere fra 10 anni come Paese? Prima di dire quanto vogliamo investire in milioni o miliardi nella ricerca e nell’educazione, decidiamo in quale direzione vogliamo svilupparci. Dopo decideremo quante risorse destinarci.

Se non c’è una direzione non possiamo stabilire obiettivi e senza obiettivi non possiamo misurare il successo del nostro impegno. Da qui nasce la tendenza a imboscarsi i soldi pubblici in tasche private. Se non poniamo degli obiettivi raggiungibili e concreti ai nostri funzionari statali, non potremo mai valutarne meritocraticamente il loro operato. Quanti soldi dovremo investire nelle scuole per poter dire che sono abbastanza e che adesso dipende dai dirigenti scolastici e dal corpo insegnante che le nuove generazioni ricevano un’educazione adeguata? Quanti soldi dovremo investire nella sanità per poter dire che adesso dipende dai professionisti sul campo e non dalla mancanza di macchinari?
Finché i nostri benchmark verranno imposti da altri paesi, avremo sempre la scusa di dire che da noi le cose sono diverse, che in fondo nel contesto culturale e istituzionale italiano a parità di risorse investite i risultati saranno sempre diversi. Ci ritroveremmo nella paradossale e non veritiera situazione descritta dall’immagine in alto in cui si vuole raggiungere un obiettivo per il quale non siamo tagliati. E allora smettiamola di seguire modelli esteri e sviluppiamone di nuovi fatti su misura per noi!

Quello che ci serve dalla politica, quella del dopo-Monti, è una politica per certi versi visionaria che sappia disegnare un futuro originale per il Paese e che stabilisca le pietre miliari dello sviluppo concreto dimostrando che all’interno del disegno europeo sono possibili, anzi consigliabili, matite di colori diversi.

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